lunedì 9 ottobre 2023

BENVENUTO A VILLA NECCHI CAMPIGLIO. QUANDO ENTRI METTI LE PATTINE.

"Il poeta Checov" 1922 di Arturo Martini


Permane ad oggi in Italia la ferma convinzione che Milano sia un comune ricco. Poi ci si accorge che la maggior parte delle persone vivono in dignitose periferie e fanno i salti mortali per arrivare a fine mese, soprattutto perché questa non è una città “a buon mercato”.

Eppure esiste, a ben vedere, una fetta di popolazione che vive in centro (oggi si dice che appartengano all’area C) e per loro il discorso un po’ cambia.

E’ questa la sensazione che si prova nell’entrare a casa dei signori Campiglio.

La loro villa sorge in uno dei quartieri più esclusivi di Milano, il cosiddetto “Quadrilatero del Silenzio”: una parte della città che fino al 1890 altro non era che una zona verde occupata da orti e giardini (soprattutto appartenenti alle istituzioni religiose). Poi nel 1926 si decise di urbanizzare anche questo angolo rurale della industrializzata Milano. Eppure qui, diversamente da altri quartieri ad ex vocazione agricola, si scelse di tenere come valore cardine quello della bellezza. Ecco che ancora oggi girare tra le vie di questo quartiere ripaga il prezzo del biglietto del treno (per i turisti) o della metro (per i milanesi).

Si racconta che in una notte invernale i coniugi Campiglio stessero tornando a Pavia, dove abitavano, dopo essersi recati alla Scala. Quella notte la nebbia si poteva "tagliare con un coltello", tant'è che la loro vettura si perse dalle parti di via Palestro; a quel punto lo sguardo dei due passeggeri cadde su un cartello con su scritto “Vendesi terreno edificabile”. La signora Gigina Necchi in Campiglio, esasperata da questi stressanti andirivieni tra Pavia e Milano, propose al marito di acquistare il possedimento per poterci costruire il loro “pied-à-terre” meneghino.

Per farlo si rivolsero all’archistar più in voga del momento, Piero Portaluppi, il quale diede decisamente il meglio di sé nel progettare la casa dei padroni della fabbrica che produceva macchine da cucire.

Villa Necchi Campiglio, ingresso

La villa (1935, via Mozart n° 14) si decise di costruirla al centro della proprietà per far sì che gli occupanti non fossero disturbati dai (pochi) rumori della strada. Per accedervi ad oggi c’è un vialetto che ospita svariate specie arboree; comunque quello che colpisce entrando in questa casa museo è il suo lussureggiante giardino.

La villa circondata dal giardino

Giardino che ospita, a poca distanza dalla primo impianto di balneazione pubblico d'Italia (Bagno di Diana in viale Piave), la prima piscina privata in città. Oltre a questa i coniugi si fecero costruire anche un campo da tennis, ad oggi riconvertito a spazio di incontro per svariate manifestazioni culturali.

Piscina che aveva, tra l'altro, il "lusso" di essere riscaldata


Quello che colpisce nell’entrare in casa è, oltre al lusso, i colori degli interni che tendono tutti alla tonalità del marrone (cromie di moda nei primi decenni del Novecento).

Salone di ingresso


Il piano rialzato era il luogo di rappresentanza e zona giorno, il primo piano risultava essere la zona notte, il sotto tetto ospitava le stanze della servitù, nel seminterrato avremmo trovato la cucina e gli spogliatoi per la piscina, la palazzina staccata dalla villa fungeva da alloggio del custode nonché da rimessa.

La parte più lussuosa e luogo di esposizione della bellezza accumulata dai padroni di casa era senz’altro il piano rialzato. Il primo piano ospita la camera da letto dei coniugi e la camera di Nedda Necchi, sorella zitella (allora si diceva così) di Gigina, nonché convivente della coppia. Il sottotetto (ad oggi sede di esposizioni artistiche temporanee) ha un tenore decisamente diverso: ambienti minuti e poco arieggiati davano alloggio al numeroso personale che manteneva questa piccola reggia.

Salone al piano rialzato 

Uno degli innumerevoli bagni della casa
(quello in foto è di Gigina Necchi)
Autore dell'immagine: Saliko 


Sottotetto 


Le cucine avevano pareti di un verde particolare
che si credeva fosse in grado di tenere lontano le zanzare.
Foto tratta dalla pagina Facebook della Villa


Alla morte di Gigina Necchi-vedova Campiglio (nel 2001, alla veneranda età di 99 anni), non essendoci eredi, la villa venne donata al FAI. Gigina, alla vigilia della sua dipartita, disse alla allora presidentessa del Fondo per L'Ambiente: "Guardami negli occhi e prometti che terrai questa casa e la difenderai come casa tua!". 

Insomma noi tutti dobbiamo solo ringraziare le sorelle Necchi, le quali hanno deciso di donare questo gioiello architettonico alla collettività impreziosendo una Milano così d'élite, una Milano così popolare.

Sorelle Necchi (foto tratta da www. enciclopediadelledonne.it)

Una delle famose macchine da cucire prodotte dalla "Necchi"

L'elegante veranda.
Per rendere la villa più sicura,
le stanze che si affacciano su di essa sono protette da porte blindate


Citofoni collocati nel seminterrato
che permettevano ai domestici di comprendere
da quale stanza proveniva la chiamata.
Foto tratta da www.onedayinitaly,com


Stanza della guardarobiera.
Questa domestica era l'unica che poteva permettersi di dormire
sullo stesso piano dei proprietari


"Il dormiente" (1921) di Arturo Martini



"La famiglia". Mario Sironi (1929)
Opera artistica che descrive bene la suddivisione dei ruoli
all'interno delle famiglie italiane di quel periodo


F. Depero "O la borsa o la vita" (1934)




mercoledì 13 settembre 2023

SANTA MARIA SEGRETA, LA CHIESA MIGRANTE

Facciata della chiesa 
Foto tratta dalla pagina Facebook di Santa Maria Segreta


Son capitato in via Mascheroni per caso una domenica pomeriggio di Agosto. Il caldo era asfissiante e i posti auto vuoti raccontavano bene la fuga dei milanesi verso mete decisamente più fresche. La chiesa mi è comparsa girando l'angolo e subito mi ha colpito la sua imponente facciata incorniciata da doppio campanile...già mi immaginavo, in pieno inverno, file di giapponesi venuti apposta a Milano per poterla ammirare.

Invece santa Maria Segreta guadagna in popolarità solo a marzo, quando le magnolie della prospicente piazza Tommaseo esplodono in un tripudio di colori instagrammabili (vedi immagine iniziale). 

Ci troviamo in zona Conciliazione (che poi perché la piazza ha proprio questo nome?...Non si è mai riusciti a capirlo) edificata a cavallo tra il XIX e XX secolo, quando la borghesia milanese aveva bisogno di trovare nuovi spazi. 

Il quartiere è ad oggi uno dei più belli della città, con la sua edilizia eclettica e liberty; eppure mancava una chiesa e così (dato che l'antica saggezza sostiene che non si deve buttare mai via niente) "fu riciclata " un'antica chiesa abbattuta qualche anno prima della costruzione dell'attuale.

…La storia è complessa e merita di essere raccontata con ordine.

Milano (o meglio Mediolanum) ai tempi dell'antico Impero Romano era poco estesa e dunque raggruppava tra le sue poche vie tutto il necessario per permetterle di essere la capitale dell'Impero Occidentale. Ecco che, a pochi passi dalla zecca, era stato edificato un sacello, ossia un piccolo tempio, dedicato molto probabilmente alla Dea Cerere, divinità onorata con rituali segreti.

Con l'avvento del cristianesimo, nel 836 fu edificata al suo posto una chiesa (non si butta via niente, ricordate?) che prese il nome di santa Maria Segreta, forse in riferimento agli antichi rituali. L'edificio cristiano fu poi drasticamente modificato nel XVII sec., periodo di grandi riforme nel mondo cattolico. Infine giunse il XX sec. e con esso il benessere che spinse Milano a ripensare ai propri spazi in funzione delle esigenze commerciali (o per usare un termine moderno, per facilitare il business). Ecco che la chiesa fu rasa al suolo nel 1911 e al suo posto edificata l'attuale sede delle poste di via Cordusio. Ad oggi al posto della seicentesca chiesa è rimasto solo il toponimo della via: via santa Maria Segreta.



Nel 1918 questa "chiesa pellegrina" fu ricostruita esattamente dove oggi possiamo ammirarla, ispirandosi a quella vecchia; tuttavia dell'antica struttura rimangono solo gli arredi sacri. Un occhio attento avrà modo di accorgersi della modernità della chiesa osservando i colorati affreschi che decorano le pareti interne. 

Affresco in santa Maria Segreta (dettaglio)

Tra le opere d'arte spicca la pala d'altare della Incoronazione della Vergine tra i santi Giovanni Battista e Gerolamo e gli angeli del Paradiso (1492) di Pietro Befulco. Questo quadro, che è in grado di emozionare anche i cuori meno aperti all'arte, è conservato in una stanza apposita nei pressi della Sacrestia, dal momento in cui necessita di un ambiente a temperatura costante…D'altronde la chiesa di santa Maria doveva possedere un "tesoro nascosto" per poter essere definita "segreta";)

E' comunque possibile fissare un appuntamento per poterlo ammirare e godere della spiegazione di don Maurizio (tel. 02/436240).

Pala d'altare di Pietro Befulco

Eppure l'elemento più curioso di santa Maria Segreta (poteva mancare in questo blog?) è sicuramente la statua di un angelo conservata nella terza cappella lungo la navata destra…  

La siccità è sempre stata ciò che di peggio possa capitare a una società che fonda la propria fortuna soprattutto sull'agricoltura. Ecco perché sono sempre stati abbondanti i rituali per attirare le piogge anche in una città ad oggi industrializzata quale Milano. 
Attorno all'undicesimo secolo nacque tra i milanesi l'abitudine di pregare ardentemente due angeli allora presenti nella chiesa in zona Cordusio. Erano angeli davvero particolari: sfoggiavano infatti una capigliatura bionda e fluente, tanto da avere un parrucchiere solo per loro. Eppure erano identici e questo non facilitava il lavoro del sacrestano che aveva il compito di esporre quello da invocare in caso di eccessiva pioggia o quello invece in caso di siccità. Ma per assistere al miracolo bastava armarsi di pazienza: il sacrestano infatti continuava a cambiare la statua sull'altare finché la pioggia non arrivava!
Ad oggi è rimasta solo una statua (con parrucca vera, ma castana) e vista la siccità degli ultimi anni vien da pensare che sia l'angelo che fa cessare le piogge!;)

Statua dell'Angelo "miracoloso"

Santa Maria Segreta è davvero originale nel panorama cittadino: non solo possiede due torri campanarie, ma anche due facciate. Nel 1924 fu qui collocata quella della chiesa demolita di san Giovanni Decollato alle Case Rotte, allora presente in piazza della Scala. La facciata posticcia fa bella mostra di sé in via Ariosto e da' accesso non solo lateralmente alla chiesa, ma anche a uno dei pochi cinema superstiti presenti in centro (cinema ariosto). 

Facciata laterale

Insomma la disperazione che mi ha spinto a fare "il turista per casa" senza una precisa meta non mi ha di certo aiutato a vincere la calura insopportabile; in compenso mi ha permesso di godere di un altro angolo di Milano meraviglioso e sorprendente!

Immagine di una Milano agostana deserta e tranquilla
nei pressi di santa Maria Segreta


lunedì 24 luglio 2023

C'E' UN PO' DI MILANO IN OGNI CITTA' DEL MONDO (CAPITOLO PRAGA)

Statua praghese che ricorda la milanese Madonnina


“Che c’azzecca” (direbbe qualcuno) Praga con Milano?
In effetti le due città distano 850 km e appartengono a due Stati molto diversi tra loro.
Eppure le foto che seguono vogliono dimostrare di quanto “il mondo sia paese“ e quanti svariati elementi in comune si possono trovare tra le due ex città asburgiche.

Tuttavia mi piacerebbe dimostrare quanto più mi sta cuore prendendo ad esempio la capitale Boema.
Praga, diversamente da Milano, ha avuto la fortuna di aver attraversato il tempo senza essere danneggiata dai nemici di turno.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il capoluogo lombardo ha subito pesanti bombardamenti da quei “simpaticoni degli inglesi“; Praga, facendo leva sulla follia di Hitler, è stata invece preservata.
Svariate sono le ragioni per cui la capitale ceca è uscita con “le ossa intere“ dal secondo conflitto mondiale, eppure quella più curiosa è legata a una figura mitologica.
Hitler infatti era profondamente superstizioso e decise di tutelare Praga per la presenza del Golem, figura mostruosa israelita.
Quello che vediamo oggi per le strade boeme lo si può definire con due sole parole: PURA BELLEZZA.

Cosa non altrettanto vera per Milano.
Considerazione che si basa solo sull’aspetto estetico.
Ho già avuto modo di affrontare questo punto (MILANO CITTA' BELLA?) e dal confronto con i lettori emergono considerazioni che vanno aldilà dell’aspetto estetico. Eppure, se ci fermiamo a solo questo criterio, si fa fatica a definire il capoluogo lombardo “una bella città”.
L’immagine seguente, tratta dal sito milanoneltempo, mostra chiaramente gli scempi avvenuti recentemente.

Via san Marco


E ti (mi) piange il cuore a pensare quanto Milano avrebbe potuto avere anch’essa una identità architettonica ben definita. Al pari di altre città architettonicamente omogenee, questa metropoli ricostruita “com’era, dov’era“ e adeguatamente restaurata sarebbe stata davvero una BELLA CITTÀ.
Invece ha prevalso la plausibile fretta di offrire un tetto ai milanesi dopo i danni bellici, ma soprattutto hanno vinto le logiche speculative di avidi palazzinari che tutto hanno pensato tranne che all’aspetto estetico.
Eppure c’è poco da stare allegri: certi errori non appartengono ahimè solo al passato.
Ancora oggi si sa, in questa città “si fanno i dane’”.
Così sul Naviglio Grande, dal sapore agreste e Bohemian, cosa ci fa un mastodontico grattacielo di color grigio??


Torre Settimo Cielo.
 Immagine tratta da www.storiadimilano.it


Insomma da milanese invidio i praghesi che, quando passeggiano per le strade della propria città, raramente hanno modo di scandalizzarsi per certi scempi moderni!

A seguire immagini di elementi in comune tra Milano e Praga:)

La Scala??

Il Drago Verde!?

San Giovanni Nepomuceno al Castello Sforzesco ??




 

martedì 27 giugno 2023

MILANO ROSSONERA, MILANO NERAZZURRA

Beppe e Franco Baresi, "fratelli rivali" protagonisti di un calcio romantico che non esiste più
Foto tratta da www.giorgiomicheletti.it



Le recenti cronache politiche e sportive ci hanno ricordato che Milano è ed è stata una capitale del calcio.
Per chi come me ha vissuto i fasti gloriosi del passato è stato un sollievo accompagnare le squadre milanesi a un passo da un importante trofeo e accorgersi che il passato può tornare come, anzi, più di prima.
Rimane un solo timore: vedere scomparire san Siro (sì perché così viene confidenzialmente chiamato lo stadio "Giuseppe Meazza" dai milanesi). Il palcoscenico di tanti momenti gioiosi sia in campo sportivo che musicale non può soccombere a logiche di mercato davvero poco convincenti. 

A san Siro si svolse il primo concerto in Italia:
Bob Marley, giugno 1980


Lo stadio milanese venne progettato nel 1925 e già nel '26 risultava essere operativo (cosa impensabile ai giorni nostri). La partita inaugurale fu un derby stravinto 6 a 3 dall'Inter.
Fa sorridere pensare che il progettista (Ulisse Stacchini) si lamentasse di essere stato distratto dal suo vero compito in città, ossia quello di seguire i lavori per la Stazione Centrale. L'architetto fiorentino infatti sosteneva che era inutile progettare impianti così capienti per uno sport che da lì a qualche anno non sarebbe interessato più a nessuno (oggi san Siro conta più di 75.000 posti!).

San Siro anni Sessanta


Le tifoserie milanesi hanno cambiato nome alcune volte (es gli ultrà del Milan facevano parte della ormai scomparsa "Fossa dei leoni"), ma storicamente i milanisti venivano soprannominati "casciavit" (cacciaviti) per la loro origine proletaria, mentre gli interisti "bauscia" (coloro che, soprattutto a Milano, non fanno altro che vantarsi) per la loro identità maggiormente altolocata.

Ultrà che si collocano nelle curve, durante le partite, in maniera esattamente all'opposto rispetto ai propri colori sociali: i milanisti infatti nella curva sud dai sedili blu, mentre gli interisti in quella nord con i sedili...verdi!:)
Questa anomalia trova una spiegazione, come al solito, se si conosce la storia.
Entrambe le squadre infatti, prima della costruzione dello stadio cittadino, giocavano all'Arena. La prima squadra a trasferirsi a san Siro fin dalla sua costruzione fu il Milan, il quale ebbe l'onore di occupare il settore blu (sedili azzurri come il colore dei Savoia); quando l'Inter a sua volta approdò (20 anni dopo, 1947), dovette accontentarsi della curva opposta.

Nel 1980 lo stadio venne intitolato a Giuseppe Meazza, storico giocatore dell'Inter degli anni Trenta. Come risposta i tifosi milanisti da allora si sono sempre rifiutati di chiamarlo con il suo vero nome. Così ad oggi i veri tifosi rossoneri (e non solo loro) continuano a chiamarlo "san Siro", mentre qualche tifoso nerazzurro "il Meazza".

Curiosa è anche la storia del milanesissimo Peppino Meazza, bandiera dell'Inter che, come tutte le bandiere (non me ne vogliano i tifosi nerazzurri) svolazzò in più direzioni. L'attaccante interista infatti rese grande la nazionale (vincendo ben due mondiali: 1934 e 1938) e giocò, non solo nell'Internazionale, ma anche nel Milan (all'epoca chiamata Milano per volere degli autarchici fascisti) e nella Juventus, così come anche oggi fanno tutti i professionisti del "giuoco calcio". 
A fine carriera fu il primo calciatore italiano ad allenare all'estero, nella turca Besiktas. Eppure qui "resistette" per soli cinque mesi poiché, come sostenne con una punta di sorriso Gianni Brera, "lamentò la mancanza del bitter al seltz".

Giuseppe Meazza


Ma perché si chiama san Siro?
Lo stadio venne costruito nel 1926 per volere del Milan che desiderava una struttura più grande. Per farlo individuò il quartiere san Siro: ampia zona di Milano così denominata per l'antica e omonima chiesina attualmente a due passi da piazzale Lotto (per la cronaca, san Siro fu il primo vescovo di Pavia nel IV sec.). 

Residuo dell'antica chiesa di san Siro alla Vepra,
accorpato a un moderno palazzo
Foto tratta da www.milanoguida.com


Ma merita di essere conosciuta la storia delle due squadre di calcio cittadine.
La prima squadra ad essere costituita fu il Milan AC nel 1899 ad opera di un gruppo di soci milanesi ed inglesi. Tuttavia, mentre l'edificio dove venne fondata la squadra era uno dei luoghi più eleganti della città (l'hotel Principe di Savoia in piazza della Repubblica), la prima sede legale della squadra era invece decisamente più modesta (una non più esistente fiaschetteria toscana in via Berchet, a due passi dalla Galleria).

Prima sede del Milan AC

Non deve stupire la presenza di soci inglesi: il calcio infatti giunse in Liguria dall'Inghilterra (e non è un caso che nei primi sette campionati il Genoa vinse sei scudetti) per poi trovare terreno fertile in tutta Italia.

Soci costituenti del Milan AC


Solo nel 1908 fu costituita l'Inter ad opera di un gruppo di soci ribelli del Milan che mal sopportavano il divieto imposto dal club rossonero di non tesserare più i giocatori stranieri. Per tale ragione fu fondata l'Internazionale Milano che da sempre ha dato più spazio, rispetto ad altre squadre, a talenti che provengono oltre confine. 
Anche nel caso dell'Inter la location dove venne fondata la squadra era decisamente prestigiosa: piazza Duomo, 22. Qui si trovava infatti il ristorante "L'Orologio", chiamato così perché ospitato nell'edificio contiguo al Palazzo della Veneranda Fabbrica del Duomo, che ancora oggi sfoggia sulla sua sommità uno degli orologi pubblici più belli di Milano.

Antica sede del ristorante "L'Orologio"
(dietro agli ombrelloni bianchi)

Il pittore Muggiani, uno dei soci fondatori, nel definire i colori sociali scrisse:" Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle". Tuttavia, al di là della poesia, è più probabile che i colori vennero definiti poiché contrapposti a quelli del Milan.

Dal canto loro i soci fondatori del Milan, riguardo la scelta dei colori sociali, affermarono:" il rosso, il fuoco dei diavoli, il nero la paura degli avversari nell'affrontarli"…ecco perché il Milan da allora è sempre stato soprannominato "il Diavolo". 

Curiosa infine è la storia del primo campo di calcio dell'Inter. 
Come precedentemente scritto, la squadra nerazzurra giocò all'Arena, prima di approdare anch'essa a san Siro (anzi, al "Meazza"). Eppure il primo "stadio" fu un piccolo campo in Ripa di Porta Ticinese, 115. Qui, nonostante la palizzata costruita dietro la porta, il pallone finiva regolarmente nel Naviglio Grande. Per tale ragione, ad ogni partita c'era un addetto dell'Inter che aveva il compito di sostare tutto il tempo su una barca nel naviglio, in attesa di "un pallone fuori controllo". 
Tra questi addetti c'era nientepopodimeno il primo presidente dell'Inter, Giovanni Paramithiotti! Si sa infatti che nello sport la componente fortuna non è affatto da trascurare. Fu così che (o almeno in questi termini si racconta) una volta il presidente si "abbassò" al ruolo di comballo/raccattapalle e quella volta la squadra vinse, abbondantemente protetta dalla "Dea Fortuna". Da allora Paramithiotti fu costretto a rendersi utile stando tutto il tempo della partita con un retino in mano a caccia i quei palloni ribelli che finivano nel Naviglio!

Ex stadio dell'Inter


Ad oggi, dove una volta c'era il primo "stadio", sorge un moderno condominio. Di fronte ad esso fa bella mostra un esercizio commerciale davvero originale: un vero tifoso nerazzurro infatti ha pensato bene di celebrare questo glorioso capitolo chiamando la propria carrozzeria "Inter"!

Carrozzeria "Inter"


Mi auguro con questo breve post di essere stato in grado di dimostrare quanto il popolare calcio possa essere fonte di notizie interessanti e quanto non meriti di essere bistrattato dagli amanti dell'arte e della storia.

Forza Milano!!!


sabato 15 aprile 2023

BARONACURIOSA



Il nome Barona potrebbe ingannare e far pensare subito ad un titolo nobiliare, invece il suo toponimo fa riferimento ad un quartiere popoloso e popolare a sud di Milano.

Confrontata con la vicina Baggio però salta subito all'occhio come in Barona non esista un vero e proprio "centro storico" attorno al quale poi si è sviluppata la parte moderna. Questo quartiere è maggiormente caratterizzato, più che dai vicoli stretti e antichi, dalle numerose cascine che popolavano questo angolo di campagna alle porte di Milano, nonché dalle svariate fornaci capaci di trasformare l'abbondante argilla presente nel terreno in mattoni per l'edilizia.

Innanzitutto vanno definiti i confini del quartiere: c'è chi sostiene che già a sud della Darsena possiamo iniziare a parlare di Barona, ma personalmente lo ritengo un po' esagerato. Il vero quartiere infatti è quella che si sviluppa ai piedi del cavalcavia di santa Rita, non distante dal Naviglio Grande e che, con le sue propaggini, tende a sfiorare il Naviglio Pavese. E' quella che comprende i tanti campi del Parco Agricolo Sud con le sue antiche strutture purtroppo abbandonate. E' piazza Miani con il suo sapore ancora partigiano. E' l'ospedale san Paolo con i vicini quartieri sant'Ambrogio, alveari di sogni realizzati e non (vedi Marracash)…

Curioso è soprattutto il nome che rimanda alla presenza di una nobile signora (probabilmente residente dalle parti di Cascina Barona tra le vie Biella, via Zumbini e via Simone Martini) . Per quanto riguarda la sua etimologia sono state fatte solo ipotesi, senza avere tra le mani alcuna certezza. Potrebbe derivare ad esempio da bar che nella lingua celtica significava fiume, e la zona in effetti è piena di corsi d'acqua (sia naturali, come ad esempio le risorgive, che artificiali, come ad esempio i fontanili).

A proposito di nobili figure femminili non si può non raccontare la storia della regina d'Inghilterra che a lungo visse in Barona (vedi post dicembre 2022)

 Caricatura di Carolina di Brunswick-Wolfenbuttel
con il suo amante.

Eppure la storia della Barona è decisamente più antica di quella vivacizzata dalla presenza di Carolina di Brunswick.

La zona infatti fu abitata addirittura a partire da 4 milioni di anni fa. Non lontano dalla fermata della metropolitana Famagosta infatti furono trovati dei resti di mammut. L'uomo in questa parte della pianura Padana fece invece la sua comparsa nell'età del bronzo (attorno al 2000 a.C.). Nei pressi della ormai demolita Cascina Ranza (siamo a due passi dalla fermata Romolo) sono state trovate delle armi in (appunto) bronzo appartenuti probabilmente ad una tribù ligure (i reperti sono oggi custoditi al Museo Archeologico).

Mammauthus, immagine di Tracy 0


Dagli studi emerge che questa zona a sud di Milano era stata abitata dagli antichi romani i quali avevano la consuetudine di costruire le vie in maniera ortogonale. All'incrocio tra le vie verticali (cardo) e orizzontali (decumano) sorsero edifici poi trasformati nelle attuali cascine presenti in Barona. Qui i viandanti potevano ricevere vitto e alloggio.

Con l'avvento del Medioevo la quasi totalità delle cascine e dei terreni divennero proprietà degli ordini religiosi. La cascina del Monastero Maggiore ad esempio, dal nome ci fa supporre che anticamente fosse di proprietà del Monastero Maggiore (presso la chiesa di san Maurizio in corso Magenta).

Cascina Maggiore (esterni)


Si deve considerare il fatto che anticamente ogni cascina ospitava al proprio interno una cappella adibita alle funzioni religiose (erano infatti i sacerdoti a spostarsi sul territorio per raggiungere i fedeli e non viceversa). Con la discesa di Napoleone gran parte di esse vennero soppresse per subire un cambio d'uso o essere addirittura demolite.
L'unica sopravvissuta è quella dell'ex Cascina Varesina (via Walter Tobagi, 8) che ad oggi ospita alcuni atelier di artisti all'interno della Fornace Curti. 

Ex cappella all'interno della fornace Curti


Prima dell'avvento di Napoleone (più precisamente tra il 1781 e il 1873) la Barona faceva parte del Comune dei Corpi Santi. Solo nella seconda metà del XIX sec. quindi il suo territorio entrò a far parte del Comune di Milano.

Durante la Seconda Guerra Mondiale la città meneghina subì feroci bombardamenti e anche in Barona vennero colpite alcune strutture causando morti.
Il 31 marzo 1945 alcuni caccia brasiliani bombardarono un magazzino merci situato di fronte alla chiesa san Nazario e Celso. La deflagrazione fu talmente forte che anche la vicina Cascina Barona fu danneggiata. Tra le macerie furono ritrovati i corpi di 5 vittime, tra cui un bambino. 

Cascina Barona attualmente in ristrutturazione


Nel 1990, durante i lavori di scavo della fermata della metropolitana Famagosta, fu trovato il motore di un caccia inglese abbattuto dalla contraerea durante i furiosi combattimenti contro gli Alleati. Il veicolo con il tempo è finito sottoterra nei pressi di una cascina dal nome curioso: Mulino della Polvere, chiamato così perché storicamente qui si produceva la polvere da sparo.

Tra le figure della Barona che si sono distinte durante la Resistenza troviamo sicuramente il partigiano Ettore Satta e Bianca Colla, sua moglie.
Scegliere di diventare partigiano significa anche accettare il rischio di perdere la propria battaglia ed è proprio in un grigio giorno del 1944 che Ettore capì che per lui "il gioco finiva lì". Venne infatti catturato da nazi fascisti, destinazione Auschwitz; eppure mentre si trovava sul vagone merci, direzione Polonia, vide scaraventarsi addosso una donna. Non poteva credere ai propri occhi: la dolce presenza tra le braccia era sua moglie la quale, forse perché non voleva rimanere da sola a Milano a piangere i due figli morti, implorò i soldati di essere deportata anche a lei insieme all'amato marito. Eppure Ettore si era sbagliato: la partita non era finita…
Si dice infatti che nel lager vennero trattati da un gerarca nazista (con tanto di moglie italiana), il quale li aiutò a scappare. Il viaggio fu lungo e periglioso, ma alla fine riuscirono a tornare nella loro tanto amata Barona. Qui Ettore riprese la sua (e non solo sua) lotta.
Arrivò finalmente il 25 aprile del 1945 e a questo punto potremmo pensare che ormai la guerra era finita e il nemico finalmente battuto. Tuttavia Ettore, in pieno "tempo di recupero", subì la sconfitta definitiva: venne ucciso in un attentato il 27 aprile lasciando, questa volta veramente, Bianca a piangere i suoi 3 ometti ormai passati a una nuova dimensione. La signora Satta si è spenta solo nel 2012 in quella Barona che ancora ricorda l'esistenza eroica del suo amato marito, con una targa in via Lago di Nemi numero 4.  

Targa dedicata ad Ettore Satta


Placate le bombe della Seconda Guerra Mondiale, questo quartiere fu fortemente interessato da svariati delitti a stampo mafioso e dagli attentati durante gli anni piombo. Emblematica la storia di Andrea Campagna al quale è stato intestato il parco di via Teramo: agente ventiquattrenne della DIGOS, fu ucciso dai Proletari Armati per il Comunismo, reo semplicemente di essere stato ripreso da alcune telecamere durante l'arresto di alcuni sospettati (risultati poi estranei ai fatti) dell'omicidio di Pierluigi Torregiani.


Targa in via Modica
a ricordo dell'assassinio di Andrea Campagna


A partire dal 1946 la Barona ha "rischiato" di diventare la "Hollywood italiana", in concorrenza con la romana Cinecittà. In quest'anno infatti è stata fondata la ICET con sede in via Pestalozzi 18 (a due passi dalla chiesa di san Cristoforo). Era questa un grande teatro di posa dove, tra l'altro, vennero girate le scene d'interno di alcuni film famosi come "Miracolo a Milano" di Vittorio De Sica o "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti. Purtroppo questa esperienza terminò nel 1965 quando la sede fu spostata a Cologno Monzese per essere poi rilevata dalla Fininvest nel 1983.

Cantiere in stato di abbandono
al posto degli studi ICET


Sempre a proposito di cinema in quel della Barona, va segnalato il film "I girasoli" (1970) con Marcello Mastroianni e Sofia Loren girato parzialmente in un appartamento del quartiere sant'Ambrogio, nonché nei pressi della chiesa di san Giovanni Bono. 

Manifesto del film "I girasoli" (1970)


Con il boom economico successivo al conflitto mondiale, la Barona mutò completamente aspetto: da zona di campagna a quartiere popoloso cittadino. Emblematici i quartieri sant'Ambrogio (chiamati così poiché su questi terreni sorgeva la cascina sant'Ambrogio) sorti dove fino agli anni Sessanta c'era sola campagna. I suoi condomini lunghi e sinuosi ospitano al proprio interno ben 12000 abitanti! 

Quartiere sant'Ambrogio.
Il suo edificio più lungo misura ben 400m!


Ancora oggi tuttavia la zona è costellata da cascine talvolta che sfuggono allo sguardo, ma che meritano senz'altro di essere conosciute (vedi post marzo 2023)

Ad oggi il territorio è cambiato e le strutture che maggiormente colpiscono sono quelle moderne, ad es il Collegio di Milano con le sue due statue dell' Expo, oppure il Barrio's.
Quest'ultimo offre le proprie attività educative all'ombra di una struttura diventata ormai icona del quartiere. Il suo "fungo" infatti è stato setting per video musicali o spot pubblicitari. Eppure il Barrio's non è solo architettura (originale) ma soprattutto umanità. I suoi ambienti ospitano al proprio interno svariate iniziative rivolte ai giovani (e non solo) del quartiere. Ho avuto modo di conoscere come educatore alcune loro attività e quella che mi ha maggiormente colpito è stato lo sforzo di coinvolgere alcuni immigrati appena arrivati nel nostro paese, in qualità di animatori, nell'ambito delle attività animative estive per i bambini del quartiere…Anche questa è integrazione! 

Statua proveniente dall'Expo (2015)
sita all'interno del Collegio di Milano
(foto proveniente dalla Fondazione)


Barrio's


Sempre nell'ambito delle numerose iniziative sociali troviamo il villaggiobarona, risposta alla domanda di alloggio da parte di soggetti economicamente e socialmente svantaggiati.

Villaggio Barona


Ad oggi la situazione economica del quartiere è decisamente cambiata: i numerosi condomini ospitano magari impiegati che di mattina si recano in centro città per lavorare e solo la sera e il fine settimana hanno modo di vivere la Barona. Anticamente invece la situazione era decisamente diversa: l'economia della zona era basata sull'agricoltura (cascine), sulla fabbricazione dei mattoni con l'argilla (fornaci) e sul duro lavoro delle lavandaie. Erano quest'ultime figure emblematiche per la città. Spinte dalla necessità a svolgere uno dei lavori più duri che l'uomo abbia mai creato, non solo vivevano sulla propria pelle le conseguenze fisiche dello stare sempre a contatto con l'acqua (artriti, reumatismi…), ma venivano a torto considerate anche delle donne "facili".
Eppure non tutti sanno che in origine erano gli uomini a svolgere questo duro mestiere e che solo successivamente subentrarono le donne...soprattutto quelle abitanti nella vicina Barona.
Ed è proprio un uomo della Barona della seconda metà del XIX sec. il protagonista del seguente racconto dolceamaro. 
Il soprannome di Luisin è "il bell", per il suo modo di vestirsi decisamente originale. Di lavoro fa il garzone di lavanderia, ma nel poco tempo libero che gli rimane ama agghindarsi come un vero signore: cappello di paglia, pantaloni a scacchi bianchi e neri, guanto bianco sulla mano sinistra e bastone con pomo d'avorio saldamente nella mano destra.
Non si fa fatica a credere che questo suo desiderio di sentirsi signore altro non gli abbia procurato che continue burle da parte dei suoi vicini. Tra questi in particolar modo c'è un giornalista decisamente specializzato in scherzi ben riusciti.
Un giorno il giornalista convince il Luisin che un bel ragazzo come lui non può rimanere solo. Ha infatti "tra le mani" una ragazza che fa decisamente al caso suo. L'unico neo è che è un po'…bassa. Il nostro eroe accetta con entusiasmo e le cose sembrano "precipitare" verso un lieto fine. La ragazza infatti accetta la proposta di fidanzamento e dopo pochi giorni tutti gli abitanti della Barona sono invitati al Municipio in centro dove vengono celebrate le nozze. Altro spostamento: il banchetto si svolge alla cascina san Bernardo in Barona. Quando l'allegra festa sta per terminare, finalmente il ragazzo può appartarsi con la sua giovane moglie in una stanza al piano di sopra. Il tutto avviene tra due ali festanti di amici e conoscenti i quali urlano "forza Luisin, forza Luisin!".
Eppure, nel silenzio della cascina a un certo punto si sente un urlo: in quel preciso istante i goliardici amici vedono schizzare fuori dalla stanza il nano nudo (ebbene sì: era un uomo travestito) seguito dal Luisin furioso!
Per anni si è tramandata tra risate a crepapelle la storia di questo gentile abitante della Barona che per un attimo si illuse di non esser più solo e che in realtà non si sposò mai più!

Cascina san Bernardo


Il bel Luisin, come si è visto, era un garzone il quale lavorava per una delle tante lavanderie presenti fino a qualche tempo fa in questa zona della città. La Barona infatti detiene il record di aver ospitato ad inizio Novecento una cooperativa di lavandai che finalmente lavavano i panni, non più nelle acque gelide del Naviglio, ma con l'ausilio di macchine a vapore. Attualmente, se ci rechiamo in via Teramo, possiamo notare delle piccole casette unifamiliari anni trenta che altro non erano che le famose lavanderie della Barona.

Via Teramo


Per quanto riguarda l'architettura religiosa, sono rare le tracce antiche nel quartiere.
Sicuramente la chiesa più importante e storica è quella dei santi Nazaro e Celso alla Barona (via Zumbini 19). Alcune fonti addirittura sostengono che l'edificio risalga al XIV sec., ma ad oggi si presenta in forme più moderne, dato il suo completo rifacimento del 1845.

Dettaglio


Chiesa santi Nazaro e Celso alla Barona


Eppure la chiesa più originale di tutta la zona è quella di san Giovanni Bono (1968) ospitata all'interno del quartiere sant'Ambrogio (via san Paolino, 20). Edificio a forma di tenda, di certo non passa inosservato, data la sua notevole altezza. Risulta essere particolarmente suggestiva al proprio interno poiché quasi completamente buia, ma illuminata da piccole e svariate finestrelle colorate capaci di ravvivare l'assenza di luce con fasci luminosi e vivaci.
Lungo la navata di sinistra è stata collocata una Madonna lignea proveniente, insieme al capitello che fa da base all'altare, dall'ex Cascina sant'Ambrogio ormai abbattuta.

Chiesa san Giovanni Bono

Madonna del Latte
proveniente dall'ex Cascina Sant'Ambrogio


Discesi dal cavalcavia santa Rita, quasi a dare il benvenuto in quartiere, troviamo l'omonimo e maestoso santuario (via santa Rita da Cascia, 22).
La chiesa della Barona è retta dai monaci agostiniani e venne edificata durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Al posto di questa chiesa avremmo trovato in passato la cascina Desa che fortunatamente non è stata completamente abbattuta per fare spazio al santuario. L'attuale struttura centrale dell'oratorio infatti (quella che ospita anche il bar) apparteneva a questo grande edificio agricolo.

Oratorio santuario santa Rita

Infine molto popolare è la fiera dedicata a santa Rita e che si tiene a maggio, nella domenica più prossima al giorno 22. In questa occasione vengono distribuite rose benedette e il parroco impartisce la benedizione alle auto (in genere nuove) che si presentano sul sagrato della chiesa.

Benedizione delle auto,
santuario santa Rita
foto storica


Mi piace concludere questo lungo post...in allegria: feste della Barona.
Una delle più antiche e di origine tribale era sicuramente quella "delle centovacche".
A questa festa in passato potevano partecipare solo i contadini che possedevano almeno cento vacche (dieci partecipanti circa). Si teneva la sera della penultima domenica di agosto e ad una certa ora l'oste dell'osteria dell'ostone (che una volta esisteva all'angolo tra via Binda e via Zumbini), serrava l'uscio e per gli iniziati cominciava la vera cerimonia che consisteva nella presentazione di un enorme vassoio in bronzo con la specialissima portata: una fanciulla nuda ("ona vacca a do zamp") sulla quale venivano versati litri di vino di malvasia. Al rituale propiziatorio seguiva quello espiatorio.
Il parroco della chiesa santi Nazario e Celso aveva il suo bel daffare nei giorni seguenti, esigendo forti ammende in favore dei poveri della zona, secondo il copione previsto dall'usanza tradizionale.

Ex Osteria dell'Ostone


Eppure non tutte le feste della Barona erano così. Quella più curiosa era "la festa del fuoco" a Carnevale: il coraggioso che riusciva a saltare un intero falò acceso, riceveva un non meglio definito premio da parte del parroco.
La sera dell'ultimo giorno di gennaio invece i bambini della Barona bussavano alle porte dei vicini urlando "Foeura genar! Foeura genar! Denter febrar! Denter febrar!" nella speranza di congedare il grande freddo legato al primo mese dell'anno… e buona primavera a tutti!!!