"Il poeta Checov" 1922 di Arturo Martini |
Permane ad oggi in Italia la ferma convinzione che Milano sia un comune ricco. Poi ci si accorge che la maggior parte delle persone vivono in dignitose periferie e fanno i salti mortali per arrivare a fine mese, soprattutto perché questa non è una città “a buon mercato”.
Eppure esiste, a ben vedere, una fetta di popolazione che vive
in centro (oggi si dice che appartengano all’area C) e per loro il
discorso un po’ cambia.
E’ questa la sensazione che si prova nell’entrare a casa dei signori Campiglio.
La loro villa sorge in uno dei quartieri più esclusivi di
Milano, il cosiddetto “Quadrilatero del Silenzio”: una parte della città che fino al 1890 altro
non era che una zona verde occupata da orti e giardini (soprattutto
appartenenti alle istituzioni religiose). Poi nel 1926 si decise di urbanizzare
anche questo angolo rurale della industrializzata Milano. Eppure qui,
diversamente da altri quartieri ad ex vocazione agricola, si scelse di tenere
come valore cardine quello della bellezza. Ecco che ancora oggi girare tra le vie di questo
quartiere ripaga il prezzo del biglietto del treno (per i turisti) o della
metro (per i milanesi).
Si racconta che in una notte invernale i coniugi Campiglio stessero tornando a Pavia, dove abitavano, dopo essersi recati alla
Scala. Quella notte la nebbia si poteva "tagliare con un coltello", tant'è che la loro vettura si perse dalle parti di via Palestro; a quel punto lo sguardo dei due passeggeri cadde su
un cartello con su scritto “Vendesi terreno edificabile”. La signora Gigina Necchi in Campiglio, esasperata da
questi stressanti andirivieni tra Pavia e Milano, propose al marito di acquistare il possedimento per poterci costruire il loro “pied-à-terre”
meneghino.
Per farlo si rivolsero all’archistar più in voga del momento, Piero Portaluppi, il quale diede decisamente il meglio di sé nel progettare la casa dei padroni della fabbrica che produceva macchine da cucire.
Villa Necchi Campiglio, ingresso |
La villa (1935, via Mozart n° 14) si decise di costruirla al centro della proprietà per far sì che gli occupanti non fossero disturbati dai (pochi) rumori della strada. Per accedervi ad oggi c’è un vialetto che ospita svariate specie arboree; comunque quello che colpisce entrando in questa casa museo è il suo lussureggiante giardino.
La villa circondata dal giardino |
Giardino che ospita, a poca distanza dalla primo impianto di balneazione pubblico d'Italia (Bagno di Diana in viale Piave), la prima piscina privata in città. Oltre a questa i coniugi si fecero costruire anche un campo da tennis, ad oggi riconvertito a spazio di incontro per svariate manifestazioni culturali.
Piscina che aveva, tra l'altro, il "lusso" di essere riscaldata |
Quello che colpisce nell’entrare in casa è, oltre al
lusso, i colori degli interni che tendono tutti alla tonalità del marrone (cromie di moda nei primi
decenni del Novecento).
Salone di ingresso |
Il piano rialzato era il luogo di rappresentanza e zona giorno, il primo piano risultava essere la zona notte, il sotto tetto
ospitava le stanze della servitù, nel seminterrato avremmo trovato la cucina e gli spogliatoi per la piscina, la
palazzina staccata dalla villa fungeva da alloggio del custode nonché da rimessa.
La parte più lussuosa e luogo di esposizione della bellezza
accumulata dai padroni di casa era senz’altro il piano rialzato. Il primo piano ospita
la camera da letto dei coniugi e la camera di Nedda Necchi, sorella zitella (allora si diceva così) di Gigina, nonché convivente della coppia. Il sottotetto (ad oggi
sede di esposizioni artistiche temporanee) ha un tenore decisamente diverso:
ambienti minuti e poco arieggiati davano alloggio al numeroso personale
che manteneva questa piccola reggia.
Salone al piano rialzato |
Uno degli innumerevoli bagni della casa (quello in foto è di Gigina Necchi) Autore dell'immagine: Saliko |
Sottotetto |
Le cucine avevano pareti di un verde particolare che si credeva fosse in grado di tenere lontano le zanzare. Foto tratta dalla pagina Facebook della Villa |
Alla morte di Gigina Necchi-vedova Campiglio (nel 2001, alla veneranda età di 99 anni), non essendoci eredi, la villa venne donata al FAI. Gigina, alla vigilia della sua dipartita, disse alla allora presidentessa del Fondo per L'Ambiente: "Guardami negli occhi e prometti che terrai questa casa e la difenderai come casa tua!".
Insomma noi tutti dobbiamo solo ringraziare le sorelle Necchi, le quali hanno deciso di donare questo gioiello architettonico alla collettività impreziosendo una Milano così d'élite, una Milano così popolare.
Sorelle Necchi (foto tratta da www. enciclopediadelledonne.it) |
Una delle famose macchine da cucire prodotte dalla "Necchi" |
L'elegante veranda. Per rendere la villa più sicura, le stanze che si affacciano su di essa sono protette da porte blindate |
Citofoni collocati nel seminterrato che permettevano ai domestici di comprendere da quale stanza proveniva la chiamata. Foto tratta da www.onedayinitaly,com |
Stanza della guardarobiera. Questa domestica era l'unica che poteva permettersi di dormire sullo stesso piano dei proprietari |
"Il dormiente" (1921) di Arturo Martini |
"La famiglia". Mario Sironi (1929) Opera artistica che descrive bene la suddivisione dei ruoli all'interno delle famiglie italiane di quel periodo |
F. Depero "O la borsa o la vita" (1934) |