domenica 6 luglio 2025

CATERINA MEDICI: QUANDO A FAR LA DIFFERENZA E' UNA PARTICELLA DEL COGNOME

Santa Maria delle Grazie


Nel giorno del mio compleanno ho voluto regalare ai lettori del blog la storia di Caterina Medici.

È un racconto nel quale convivono elementi realistici con altri di fantasia.

Quello che sappiamo è che Caterina era una delle tante persone condannate per stregoneria, in quel secolo buio che fu il Seicento. 

Il tribunale ecclesiastico era collocato presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie e qui avremmo potuto trovare il suo ricco archivio che custodiva i documenti dei tanti processi celebrati.

Alla vigilia della discesa dell’illuminato Napoleone in Italia, i domenicani, presi dal timore e dalla vergogna, provvidero a bruciare tutto l’archivio. 

Solo il verbale del processo a Caterina si salvò.

Da questo risulta che la donna provò a far innamorare di sé il senatore Melzi tramite un sortilegio. 

Non ci è dato sapere se questo fosse vero o pretestuoso, sta di fatto che Caterina venne condannata a morte e, come lei, tanti altri milanesi finirono al rogo per i motivi più assurdi. 

Con questo mio breve scritto ho voluto raccontare una storia, non così insolita, che ha caratterizzato l’esistenza della chiesa (quella con la c minuscola…).



Caterina de' Medici

Caterina Medici nacque in una povera famiglia a Broni (PV) nel 1573.

Caterina DE' Medici nacque in una ricca famiglia a Firenze nel 1519.

La prima era ferma nella sua convinzione che l'unico scopo della sua vita era sopravvivere.

La seconda era determinata nell'imporre la sua volontà e di, nonostante la sfortuna di essere nata femmina, passare alla storia.

Entrambe in giovane età emigrarono.

La pavesa accolse senza sorpresa la decisione del padre di farla trasferire a Milano al servizio di una nobile famiglia.

La fiorentina accolse con sorpresa la decisione del sovrano francese di farla diventare moglie del suo secondogenito.

A Milano Caterina Medici trascorreva le giornate a correre per casa per non far mancare niente ai suoi padroni. Principale ostacolo: le mani del capo famiglia che si allungavano ogni giorno verso i suoi connotati femminili.

A Parigi Caterina DE' Medici trascorreva la sua esistenza a intessere trame e a esportare dolci (suoi i deliziosi macaron).

Quest'ultima si considerava profondamente infelice e si sarebbe stesa volentieri sul lettino di uno psicanalista (se solo si fosse saputo cos'era la psicanalisi).

La prima invece si sarebbe stesa volentieri su un comodo pagliericcio a riposare qualche ora (se solo il suo padrone non ci avesse provato).

Ma venne un giorno in cui il sessantenne senatore Luigi Melzi iniziò a soffrire mal di stomaco.

All'inizio pensò di aver esagerato con la selvaggina (quanto la adorava…). Ma poi, curata l'alimentazione, si accorse che il dolore non passava.

Si rivolse al medico di famiglia che, con i suoi intrugli, gli fece "vomitare pure l'anima"...ma il dolore non passava.

Si rivolse al parroco che gli procacciò una sacra reliquia di san Pietro Apostolo, la quale reliquia, appoggiata sullo stomaco e recitate 33 Ave Maria, non fu in grado di far cessare il dolore.

Il povero senatore milanese non si era premunito di fare una gastroscopia, per il semplice fatto che ancora non era stata inventata. Eppure, se avesse provveduto, si sarebbe accorto che il suo apparato digerente era interessato da una forma neoplasica in fase terminale.

Il povero conte Melzi dunque era giunto alla conclusione che qualcuno gli voleva del male.

Stette giorni e giorni...no: ci impiegò ben 5 minuti della sua nobile esistenza a giungere alla conclusione che la colpevole era quella servetta giunta da poco a casa sua.

"Maledetta sgualdrina che sfuggi puntualmente alle mie mani affamate di giovani forme!" pensava il nobile solo di sangue. "Pagherai con la vita il tuo vile azzardo".

Tornò a fargli visita don Antonio, questa volta scevro di improbabili reliquie, ma carico di tutta la pazienza del mondo per ascoltare i vaneggiamenti del suo datore.

La denuncia dell'emaciata Caterina al Tribunale dell'Inquisizione fu la naturale conseguenza di questa ordinaria situazione di pura ignoranza.

Caterina fu interrogata, denudata, accusata, rimproverata e alla fine gli inquisitori ne ricavarono una denuncia di stregoneria. A fronte di formule astruse in latino, le venne chiesto:" Ammetti le tue colpe?" e lei svogliatamente disse: "Sì".

Monosillabo che era l'inconsapevole sua sentenza di morte.

L'esecuzione avvenne un pomeriggio di marzo. I milanesi non vedevano l'ora di uscire dalle proprie catapecchie per godersi un po' di sole primaverile...e quale migliore occasione se non quella di un bell'omicidio di Stato?

Solo quando Caterina fu prelevata a forza dalla sua cella realizzò, alla luce della sua media intelligenza, alla luce della sua media esistenza, che per lei i giochi finivano qua.

Fu caricata su un carro appariscente che da santa Maria delle Grazie procedeva con il passo di un corteo funebre fino alla chiesa di san Lorenzo.

Il tutto era preceduto da musici che annunciavano lo spettacolo macabro e vero. 

Che tutta la cittadinanza sapesse la fine che facevano le streghe! Cosa si era messa in testa questa servetta venuta dalla campagna? Si era illusa di diventare signora? Si era illusa che il suo padrone si sarebbe innamorato di lui e, una volta vedovo (perché prima o poi la contessa sarebbe morta di parto, era normale) l'avrebbe sposata?

In cuor suo Caterina non aveva mai pensato nemmeno per un attimo che quel viscido padrone potesse sposarla. Semmai si vedeva accasata con qualche altro servetto come lei. Semmai si vedeva impegnata a spaccarsi la schiena per i suoi bambini (oltre che per quelli degli altri). Sognava cose semplici Caterina: un pagliericcio comodo dove dormire (magari fino a tardi), pasti caldi e variegati (magari un pezzo di carne ogni tanto), un abito per la domenica (che Giovanna, la sua collega, già possedeva).

La mente è fantastica: durante l'umiliante corteo, Caterina, invece di imprecare contro quelle bestie di milanesi che le lanciavano in faccia frutta marcia, si era rifugiata in questo mondo di piccoli e non pretenziosi sogni. Sogni che durarono per tutta la durata del corteo e che si interruppero quando fu trasferita sul palco dell'esecuzione.

Solo lì toccò con mano la morte che le alitava ormai sul collo. Ma furono le mani del boia a stringerle il collo e a farle esalare l'ultimo respiro tra folle di spettatori inferociti che facevano il tifo per l'uomo incappucciato.

Anche Caterina DE' Medici morì, ma alla veneranda età di 69 anni, tra morbide lenzuola e sopra un letto soffice che sarebbe stato il modesto sogno di un'altra sua quasi omonima. 

Alla lombarda mancava quel titolo nobiliare dettato da sole due lettere nel cognome. Solo due lettere misere e comuni, ma comunque capaci di fare la differenza...e che differenza!