mercoledì 2 ottobre 2024

Le Tre Marie milanesi

Chiesa santa Maria Rossa in Crescenzago


Sin dalle prime comunità cristiane, il culto mariano ha avuto sicuramente un ruolo primario. 

Maria (Miriam per i conterranei di Gesù) è sempre stata amata dai fedeli, in particolar modo dagli abitanti dello Stivale, notoriamente attaccati alla figura materna. Dunque non deve stupire se in Italia quasi 10.000 chiese siano dedicate alla Madonna. 

Milano in questo non fa di certo eccezione. Eppure, quando tre chiese vicine portano tutte lo stesso nome, allora nasce l’esigenza di distinguerle. E quale modo migliore se non ricorrere ai colori? Ecco dunque che nella zona nord-est del capoluogo lombardo sorgono la chiesa di Santa Maria la Rossa, Santa Maria la Nera e Santa Maria la Bianca. 

Squisita è l’origine del nome di Santa Maria Bianca in Casoretto. Una delle tracce più antiche all’interno di questa chiesa del XV secolo è un adorabile affresco di una Madonna di bianco vestita. “Santa Maria Nera” (il suo vero nome però è chiesa del Santissimo Redentore) deve il suo nome, molto più prosaicamente, a una statua Mariana nera, nera come quella che è possibile trovare nel santuario di Loreto, nelle Marche.

Vergine Bianca della Misericordia di Casoretto

Quella più affascinante, almeno a mio avviso, è Santa Maria Rossa in Crescenzago, da non confondere con Santa Maria Rossa alla Fonte (sul Naviglio Pavese) e Santa Maria Rossa in Monzoro. 

Quando si è pensato al colore rosso per soprannominare la chiesa, di sicuro non si è fatto un grande sforzo di fantasia: il romanico lombardo si avvale del materiale più abbondante in zona, ossia mattoni rossi fatti con l'argilla. 

S,ta Maria Rossa in Crescenzago, interni

In quel di Crescenzago c’era nel X sec., una cappella dedicata alla Vergine. Nel XII sec. è stata trasformata in una canonica retta dagli agostiniani, i quali vivevano nell'edificio prospiciente la chiesa.

Esattamente un secolo fa si è deciso di effettuare dei restauri pesanti all'edificio religioso, il quale oggi brilla per armonia e bellezza, ma poca originalità. Molti elementi interni e esterni infatti sono solo apparentemente antichi. In primis il pulpito in pietra con i suoi gatti buffi.

Pulpito, dettaglio

Originale invece è la piccola lapide marmorea all'ingresso (ormai illeggibile) che recita Nel castissimo tempio delle Vergine, bisogna essere casti.

La facciata riporta, come decorazione, degli elementi decorativi giallo verdi. Per la loro forma convessa possono ricordare delle scodelle, forse a ricordo del fatto che anticamente i pellegrini potevano trovare rifugio (e un piatto di zuppa calda nei giorni invernali) nel convento degli agostiniani.

Dettaglio della facciata

L'ex convento ad oggi spicca grazie al suo aspetto esterno per metà ruspante e per metà elegante. Nel 1772 è stato soppresso e poco dopo rilevato dall'agronomo Domenico Berra, il quale lo ha trasformato in una cascina. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale Crescenzago era diventato un quartiere popoloso e decisamente poco agricolo. Per questa ragione nel 1980 Casa Berra (l'ex convento agostiniano) è stata trasformata in un condominio… e che condominio! L'edificio è molto elegante anche grazie alle tracce del passato che si mischiano a quelle contemporanee. A partire dal 2019 infatti opera l' Associazione Culturale Casa Berra che permette al condominio di brillare di originalità (oltre che di bellezza): i suoi spazi ospitano opere artistiche contemporanee. Così è davvero emozionante passeggiare nei cortili interni del palazzo, tra opere enigmatiche, rondini che ti sfiorano la testa, paciosi gatti domestici e bambini che donano gioia a ciò che rischiava di essere completamente abbandonato (e magari trasformato in un moderno condominio a due passi dalla metropolitana)! 

Casa Berra

Casa Berra, cortile interno

Casa Berra, interni


Altra testimonianza antica sopravvissuta tra palazzoni moderni è la chiesa di santa Maria Bianca della Misericordia, nel quartiere Casoretto. 

Santa Maria Bianca della Misericordia in Casoretto

La chiesa e l'abbazia sono del XV sec. (anche se la facciata è stata rifatta nel 1927 seguendo un gusto rinascimentale) e ospitavano i canonici lateranensi. Fa impressione vedere le immagini di fine Ottocento e accorgersi di quanto sia stato recentemente fatto per riportare gli ambienti dell'antica abbazia a un aspetto, se non del tutto originale, almeno ordinato e armonico. Ambienti che oggi ospitano servizi per disabili (dove a lungo ho lavorato). 

Chiesa e abbazia, 1899

La retrostante via Mancinelli è diventata tristemente famosa in seguito all'attentato a Fausto e Iaio: due ragazzi di sinistra assassinati da coetanei di destra durante i famigerati Anni di Piombo (agguato avvenuto il 18 marzo 1978).

Graffito in via Mancinelli


Piazzale Loreto è conosciuta in tutto il mondo per alcuni episodi legati alla Resistenza e ad oggi è sicuramente ricordata per essere una importante stazione della metropolitana.

Eppure non tutti sanno che, se questo luogo milanese si chiama così, lo si deve ad una statua alloggiata in una chiesa, non più esistente, a due passi dall'odierno piazzale.

Statua posta nella prima cappella navata sinistra,
chiesa del Santissimo Redentore 

La statua inizialmente era nera (da qui il soprannome di santa Maria la Nera dato all'ex chiesa ospitante) poiché creata come quella originale a Loreto. Con il tempo però è stata ridipinta con colori molto più nostrani.

In origine la struttura religiosa, con al suo interno la statua, si trovava nell'attuale piazza Argentina; aveva dimensioni enormi, si chiamava Monastero di santa Maria di Loreto fuori Porta Orientale e venne inaugurato nel 1641. La sua edificazione fu lunga e articolata; eppure sopravvisse solo 140 anni, dato che poi venne soppressa dal solito Giuseppe II d'Asburgo.

Solo nel 1900 il popoloso quartiere di corso Buenos Aires ha potuto avere una parrocchia tutta sua; in quell'anno infatti è stata inaugurata la chiesa del Santissimo Redentore nella vicina via Giovanni da Palestrina.

Chiesa del Santissimo Redentore

Quest'ultima chiesa è luogo di opere d'arte che fanno parlare di sé. Sull'altare maggiore infatti spicca una ottocentesca statua di Gesù Redentore, la quale si presenta con mani posizionate in maniera decisamente strana. E' ormai appurato che in origine impugnava una grande croce lignea, poi rimossa per volere dei sacerdoti di questa parrocchia.

Svelato il mistero.

Statua di Gesù Redentore



A Casa Berra anche una finestra rotta
può diventare arte




Casa Berra





Sala Capitolare in Casoretto 
con affreschi raffiguranti i santi Carlo e Federico Borromeo






















mercoledì 17 luglio 2024

LA SPOSINA



Quante volte  i turisti giunti a Milano si sono sorpresi a guardare il Duomo con un sorriso beato sulle labbra? Quante volte i milanesi si sono sentiti rassicurati dalla visione della sua mole in mezzo al paesaggio urbano?

Eppure non sempre la cattedrale milanese è stata in grado di regalare sensazioni positive a chi la vive.

Di certo contenta non la si poteva definire Carlina, novella sposa in viaggio di nozze a Milano in un passato alquanto indefinito.

La ragazza  e il suo Renzino erano giunti nel capoluogo lombardo dalla vicina Schignano, piccolo paese in provincia di Como, a due passi dal confine svizzero.

Ancora oggi questa minuscola località alpina non è meta di turismo, né tanto meno lo era ai tempi di Carlina. Eppure, forse per lavoro, forse dalla vicina Svizzera tedesca, arrivò un giovane straniero.

Alto o basso, affascinante o anonimo, non c'è dato sapere com'era. Una cosa però la conosciamo: il ragazzo era biondissimo e dunque il bambino che Carlina portava in grembo poteva aver preso da lui.

Era questo il principale pensiero della giovane sposa: se avesse preso da lei sarebbe stato un attimo dire che il piccolo era figlio di Renzino e aveva deciso di venire al mondo prematuramente. Ma se invece fosse stato biondissimo come il suo vero papà??

I due sposi erano arrivati a Milano a fine ottobre e ad accoglierli avevano trovato una fitta nebbia. Eppure, nonostante questo, Renzino aveva proposto alla sua dolce metà di salire sulle terrazze del Duomo.

Qui Carlina, presa dai suoi angoscianti pensieri, complice la nebbia e la visione di tutte quelle statue mostruose che popolano la cattedrale milanese, d'un tratto prese la rincorsa per fare un disperato salto verso il vuoto.

Atroce risuonò il grido di Renzino in mezzo a tutto quel silenzio lattiginoso. 

Sembravano essere le uniche due persone in giro per Milano quel pomeriggio autunnale, invece, in seguito al disperato urlo, si materializzarono tante figure che incominciarono a interessarsi alla situazione.

Tutti si misero alla ricerca del corpo della povera Carlina e tutti rimasero sorpresi nel non trovarlo.

Eppure, se ancora oggi non esiste una tomba della sposina sulla quale portare un pietoso fiore, esiste invece lo spirito di Carlina, la quale si materializza ogni qual volta una coppia in viaggio di nozze si fa ritrarre sorridente davanti alla bianca facciata del Duomo.

Così, se nelle foto compare anche una donna di nero vestita, con lo sguardo triste, quella donna non è una semplice milanese di passaggio, ma Carlina che, con massima sincerità, augura alla coppia una vita matrimoniale più felice della sua.

Questa è la triste storia di Carlina, moglie solo per due giorni, madre forse per un mese, ma sposina per l'eternità. 


domenica 2 giugno 2024

Non sei nessuno se non possiedi un palchetto alla SCALA



Non sono un melomane e non conosco il mondo dell'opera, balletto e musica classica, ma sono un estimatore di Milano e la Scala è MILANO.

Teatro dai tanti aspetti curiosi, la Scala è in grado di donare soddisfazione non solo a chi di musica colta vivrebbe, ma anche a chi desidera sorridere della città e con la città.

Si racconta che la notte di carnevale del 1776 il Teatro Ducale prese fuoco. Niente di più strano per l'epoca: questi luoghi infatti erano rischiarati con le torce e riscaldati coi bracieri. Dunque il legno, che rappresentava il materiale principe dei teatri, spesso si infiammava (e con esso… gli spettatori).

Eppure quella volta iniziò a girare voce che l'incendio fosse stato doloso. L'arciduca Ferdinando, governatore di Milano, venne infatti a scoprire che sua moglie Maria Beatrice d'Este aveva una tresca con tale Giacomo Sannazzari e quella sera si sarebbero incontrati di nascosto a teatro. Terminati i festeggiamenti, due servi del governatore, su mandato di quest'ultimo, intercettarono il Sannazzari, lo malmenarono e lo legarono a una sedia. Mentre la città dormiva dopo i bagordi del Carnevale, i due servi appiccarono il fuoco al luogo dell'incontro clandestino… e "tanti cari saluti a Giacomo".                                                                                                                    Peccato che quest'ultimo, la mattina dopo, girava indisturbato per Milano. La sera di Carnevale volle infatti ricambiare il favore a un suo caro amico: gli permise di incontrare la nobil donna al posto suo. I due "mattacchioni" erano convinti, a ragione, che Maria Beatrice non si sarebbe accorta dello scambio di persona, complice la penombra del teatro, la maschera carnevalesca e magari qualche bicchiere di troppo...Quando si dice "nascere con la camicia"!

Leggenda o verità che fosse (all'epoca Milano contava solo 100.000 abitanti circa e le leggende metropolitane nascevano con maggior facilità rispetto ad oggi) sta di fatti che la nobiltà milanese rimase priva del loro maggior passatempo. Dunque subito iniziarono a reclamare un nuovo teatro e l'imperatrice Maria Teresa d'Austria ci impiegò poco a trovare il nuovo luogo dove poterlo edificare: al posto dell'ennesima chiesa.

I conventi (e più in generale le strutture religiose) in quel periodo non attraversavano un momento sereno, vuoi per l'ideologia Illuminista oppure per un tornaconto economico. Appena c'era l'occasione venivano requisiti dall'autorità politica per poi abbatterli, al fine di costruire nuovi edifici.

Presso la contrada Margherita c'era dunque un'antica chiesa: santa Maria della Scala, chiamata così perché fatta edificare nel XIV sec. per volere di Regina della Scala, figlia del sovrano veronese, nonché moglie del crudele signore milanese Bernabò Visconti.


Nel 1776 a ricevere l'incarico fu nientedimeno che l'architetto di corte: Giuseppe Piermarini il quale, visti i precedenti, scelse di edificarla usando meno legno possibile.

"Il tempio della lirica" fu edificato in soli due anni, lo stesso tempo impiegato per l'ammodernamento del 2004 (con tanto di mezzi tecnologici attuali).

Vent'anni fa la Scala è stata infatti riammodernata in forme forse un po' sgraziate ma funzionali.

La torre scenica (quella poligonale) permette di preparare contemporaneamente svariate  scenografie utilizzabili poi durante gli spettacoli. Il corpo di fabbrica ellittico invece ospita locali di servizio (es camerini, locali per le prove…) ed è talmente grande da permettere, volendo, a un camion di entrare per scaricare del materiale.


Ma il teatro non ha subito solo questo restauro. Nel 1945 infatti fu riedificato nella quasi totalità poiché precedentemente centrato da una bomba alleata durante la Seconda Guerra Mondiale.


Fu l'inaugurazione un momento molto toccante per tutti i milanesi: la ripresa dell'attività scaligera significava infatti che la città stava rinascendo e si stava scrollando di dosso le macerie della guerra.

A dirigere "Il concerto della ricostruzione" fu il burbero Arturo Toscanini il quale fu autore di tante innovazioni nei teatri di tutto il mondo, proprio a partire dalla Scala. Innanzi tutto il tendone doveva aprirsi centralmente (e non più dal basso verso l'alto); le luci in platea dovevano essere rigorosamente spente; chi arrivava in ritardo a teatro non poteva più entrare; vietati i cappelli in platea per le signore; le tendine davanti ai palchetti non potevano più essere chiuse durante lo spettacolo. Insomma a teatro bisognava andarci per lo spettacolo e basta!

Arturo Toscanini

Per gli esseri umani del XXI sec. può apparire scontato questo concetto, ma così non era per la società milanese di inizio Novecento.

A teatro infatti gli aristocratici andavano più che altro per "fare passerella". La Scala era il luogo più mondano della città e a teatro si andava per (nell'ordine) essere presente, spettegolare, fare incontri di vario tipo, mangiare (magari in compagnia), giocare d'azzardo e infine assistere ad uno spettacolo.


Ancora oggi, ad esempio alla Prima del 7 dicembre, gran parte del pubblico non è composto da intenditori di musica, bensì da mondani. I veri appassionati sono i loggionisti, ossia chi gode dello spettacolo dal loggione (i due ultimi piani del teatro), mentre i palchettisti amano farsi vedere più che vedere. Non è un caso che gli artisti, a fine spettacolo rivolgono subito lo sguardo verso l'alto. La loro fortuna infatti è spesso legata all'approvazione o meno dei loggionisti (Amici del loggione), i quali sanno essere nei loro giudizi spesso spietati. Se hanno apprezzato l'applauso può durare un tempo infinito (il caso più eclatante fu alla Deutsche Oper di Berlino: un'ora e sette minuti!...I melomani conoscono tecniche per battere le mani senza danneggiarle), ma se qualcosa non è stato di loro gradimento allora le reazioni possono sembrare fuori luogo in un ambiente così elegante e raffinato.

Ma torniamo al passato: i palchetti erano dunque luogo di incontri. Ognuno, prima del bombardamento del 1943, portava sul parapetto lo stemma famigliare poiché erano di proprietà della nobile famiglia milanese di turno.

In passato si diceva che "non sei nessuno se la tua famiglia non possiede un palchetto alla Scala, una panca in Duomo e una tomba al Monumentale". 

A teatro il nobiluomo di turno giungeva nel suo palchetto scortato dalla servitù, la quale doveva attendere di essere chiamata in qualunque momento stando seduta su delle sedie in platea. Quest'ultimo ambiente aveva dunque sedute mobili poiché potevano essere prontamente spostate in caso di balli da parte dei milanesi, gare di scherma, spettacoli circensi.

La servitù aveva inoltre il compito di scaldare il cibo portato da casa con dei bracieri che si trovavano in ambienti utilizzati come piccole cucine private. Ad oggi questi locali servono come guardaroba per gli spettatori che occupano il palchetto durante lo spettacolo. 

Attuali guardaroba dei palchetti

All'interno del teatro c'era una vera e propria gerarchia sociale: più il tuo spazio era in basso, vicino al Palco Reale e più contavi. Più era centrale e più eri degno di considerazione.

Foto tratta da dejavublog.it

Ogni palchetto era inoltre dotato di specchi alle pareti per permettere di guardare meglio il palcoscenico...ma soprattutto per spiare ciò che accadeva nei palchetti vicini. Dopo i danneggiamenti della guerra è rimasto un solo palchetto ad essere munito di specchi (numero 13).

Foto tratta da 
www.michelangelobuonarrotietornato.com

Il proprietario di questo nobile spazio aveva la facoltà di accedervi anche prima e dopo gli spettacoli. A performance in corso era assolutamente normale tirare la tendina del proprio palchetto per avere...maggiore intimità.

Insomma che la Scala fosse luogo di spettacoli sembrava quasi essere di secondaria importanza. Questo teatro era infatti molto frequentato per il gioco d'azzardo: nel ridotto Toscanini infatti era abitudine fino al 1815 giocare fino alle due di notte e scommettere a volte anche grandi cifre (ne sapeva qualcosa "l'integerrimo" Alessandro Manzoni). In tutta la città infatti il gioco d'azzardo venne vietato nel 1788, tranne che nei teatri cittadini. Il giro d'affari era talmente alto da permettere al biscazziere Gaetano Belloni di commissionare una casa in corso Venezia: Palazzo Rocca Saporiti (1812), uno dei più belli e lussuosi di tutta la città.

Palazzo Rocca Saporiti

Ad oggi la Scala è uno dei teatri lirici più importanti al mondo. Qui si viene per ascoltare "musica colta" (unica eccezione: il concerto di Paolo Conte tenutosi il 19 febbraio 2023)...se si riesce a trovare il biglietto.

L'acustica di questo odeon è sempre stata considerata una delle migliori al mondo, grazie alle trovate del suo geniale architetto: Giuseppe Piermarini.

Quest'ultimo, nel progetto aveva anche ipotizzato uno spazio attiguo al teatro e di pertinenza solo della famiglia del governatore: il Casino Reale. Qui la nobile casata avrebbe potuto tenere ricevimenti e balli privati. Tuttavia solo nel 1841 fu effettivamente costruito, con accesso da via dei Filodrammatici.

Nel secondo dopoguerra in questi spazi fu creato un teatro più piccolo (di soli 350 posti, a fronte degli attuali 2007 della sala principale): la Piccola Scala, atta ad ospitare spettacoli minori, demolita poi con la ristrutturazione del 2004.

La Piccola Scala

Accanto alla Scala, seppur con dimensioni più modeste, è possibile notare il Casino Ricordi, chiamato così perché affittato appunto dalla famiglia Ricordi (storici editori milanesi) per ospitare i membri della Nobile Associazione dei Palchettisti. A partire dal 1913 invece le sue neoclassiche sale ospitano il Museo della Scala (Museo della Scala).

Casino Ricordi (corpo di fabbrica a sinistra dell'ingresso del teatro)
Foto di Jakub Halun 

Insomma, se non vuoi essere considerato un "giargiana" ma un buon milanese devi essere stato almeno una volta al Teatro alla Scala (ed io ci sono andato...per vedere un film!).


In primo piano la Galleria delle Carrozze
che permetteva ai palchettisti di giungere a teatro senza bagnarsi
in caso di pioggia poiché qui potevano sostare i nobili cocchi


Il Palco Reale fu temporaneamente sostituito ai tempi di Napoleone
con cinque palchetti "più ugualitari".
Fonte fotografia: www.danzaeffebi.com


La coppa del lampadario è talmente grande
che ospita due addetti all'illuminazione del palco.
Foto tratta da www.sapere.it

domenica 12 maggio 2024

CIMIANO TERRA DI SANTI, IMPRENDITORI, EDUCATORI


 Milano, 28 aprile 2024

Questo insolito aprile piovoso concede oggi una pausa e, come scoiattoli che mettono la testa fuori dal nido, questa volta anch’io mi regalo una rapida passeggiata prima del ritorno delle nuvole.

Destinazione: Crescenzago. Approdo: Cimiamo.  

“Tanto cosa vuoi che sia” progetto ”scendo con la metro a Cimiano, rapida occhiata a questo anonimo quartiere e arrivo in due passi a Crescenzago”.

Anonimo???

Milano mi frega sempre…Cimiano è come un sacchetto di ciliegie: una curiosità tira l’altra. 

All’uscita dalla metropolitana ad accogliermi ci sono una serie di condomini moderni. 

Via Palmanova

Nel dopo guerra molta gente è qui approdata, tanto da far meritare a Cimiano a una utilissima linea verde della metropolitana capace di trasportare i lavoratori in poco tempo in centro.

L’istinto è quello di dirigersi verso via Padova, l’antica strada postale che dal 1825 collega Milano con Vienna (a proposito, Cimiano questo vuol dire: prossimo a Milano). 

Via Padova è l'Italia di oggi, è l’Italia del futuro: un accrocchio di popoli qui giunti dal meridione, Veneto, Africa del Nord, America del Sud, Europa dell’Est (nonché Asia) che in passato sono stati in grado di generare una bella realtà come quella dell' “Orchestra di via Padova”. 

"Tocco d'arte" in un condominio popolare di via Padova

In via don Orione fa bella mostra di sé una enorme chiesa del 1941: la parrocchia di San Giuseppe dei Morenti (intitolata così in onore delle vittime della Prima Guerra Mondiale). 

La sensazione che si prova nell’entrare in questa struttura religiosa è quella di essere una formica all’interno di quello che anticamente veniva definito “il Duomo di Crescenzago”. 

Chiesa san Giuseppe dei Morenti

Ma perché non “Duomo di Cimiano”?

Cimiano venne accorpata a Crescenzago nel 1757 e con essa a Milano nel 1923. 


Le uniche costruzioni che richiamano i secoli passati si trovano nei pressi della vicina Martesana, paradiso delle nutrie. In via Ponte Nuovo si trova il (appunto) ponte nuovo chiamato così per distinguersi dal vicino "ponte vecchio" a Crescenzago, successivamente ribattezzato con il toponimo di via Adriano (l'unico ponte che ha mantenuto il nome "vecchio" lo si trova a Gorla).

Ponte Nuovo a Cimiano

Eppure per trovare la vera Cimiano dobbiamo attraversare via Palmanova.

E’ qui il regno di utopistici operatori sociali e candidi insegnanti. La zona che si estende nei pressi di via Pusiano infatti è un trionfo di scuole pubbliche e private, nonché servizi socio-educativi pubblici e convenzionati.

Via don Calabria ti accoglie e ti sorprende con due aerei da caccia. Qui infatti è possibile trovare la sede dell'istituto tecnico "J.C. Maxwell" che, grazie al suo indirizzo "Trasporti e logistica", permette allo studente di operare nel campo dell'aviazione. I due caccia ormai dismessi sono un dono dell'Aeronautica Militare, ma solo quello posizionato all'ingresso dell'istituto (nell'atto di accogliere gli studenti che ogni giorno entrano a scuola) è stato recentemente restaurato.

Istituto tecnico "J.C. Maxwell"

A Cimiano don Calabria (poi salito agli onori degli altari) nel 1951 fondò l'attuale centro rivolto ai soggetti neurotipici e neurodivergenti (Istituto Piamarta). Quarant'anni dopo i religiosi di don Calabria hanno ceduto il posto a quelli di san Giovanni Battista Piamarta i quali hanno provveduto al restauro della nobile Villa Morosini (via Pusiano, 32) con la finalità di utilizzarla come comunità per minori e disabili.

Villa Morosini

Villa Morosini e i terreni agricoli di pertinenza divennero di proprietà della Chiesa Ambrosiana nel secondo dopoguerra. A stretto giro vennero affidati a don Calabria, il quale aveva don Verzè in quel periodo come segretario personale. I progetti su Cimiano erano divergenti tra i due religiosi: don Calabria desiderava creare un servizio per anziani, mentre don Verzè un ospedale. Alla fine prevalse il volere del futuro santo veronese, il quale però cambiò idea e fece realizzare servizi per la formazione professionale dei giovani. Don Verzè svolse la funzione di direttore del centro fino al 1957, anno in cui poté dedicarsi completamente alla realizzazione del suo sogno: fondare un nosocomio nella vicina via Olgettina, l'ospedale san Raffaele.

Fa comunque tristezza vedere le vecchie foto di Cimiano e accorgersi che la cascina accanto alla Villa Morosini è stata inesorabilmente abbattuta per costruire moderne palazzine (almeno nelle volumetrie sono state rispettati gli edifici precedenti). Cascinale che anticamente ospitava al proprio interno una piccola fabbrica la quale produceva pallottole ("i balin de s'ciopp").

Via Pusiano: com'era, com'è

La via Pusiano e la perpendicolare via Monteggia ospitano le rare e preziose testimonianze storiche del quartiere. 

Nella seconda via, al civico 3, possiamo ammirare ciò che rimane dell'antica Villa Pino, famosa poiché fatta costruire da un certo Domenico Pino che addirittura fu Ministro del napoleonico Regno di Italia. Alla caduta dell'imperatore francese infatti si ritirò per un breve periodo a vita privata in quel di Cimiano.

Villa Pino

Ma la palazzina più bella e sorprendente la si può trovare al civico 11, sempre della via Monteggi: Villa Carmen Emilia, un edificio di fine Ottocento in stile eclettico, con un meraviglioso giardino all'inglese. La signora Carmen abitava in centro a Milano e ogni tanto si recava in questa sua proprietà in periferia, data in affitto a svariate famiglie milanesi. I vecchi abitanti ancora ricordano la classe della ricca proprietaria, nonché la fatica nel non andare a giocare in quel meraviglioso giardino, dato che la sciora Carmen lo vietava tassativamente!

Villa Carmen Emilia

Non tutti hanno la fortuna di avere un parco pubblico
come giardino condominiale…


Via Pusiano 24: Il Mosca. 
L'origine di questo soprannome è sconosciuta.

In via Pusiano l'elemento architettonico che sicuramente più caratterizza questa parte antica di Cimiano è l'alto campanile. Esso infatti apparteneva alla cappella privata della già citata Villa Morosini. Dunque gli abitanti di Cimiano dove potevano recarsi per seguire le funzioni religiose, dato che nella vecchia frazione di Crescenzago non si vedono antiche chiese pubbliche?

Cappella della Villa Morosini


Oltre al "Duomo di Crescenzago", nei pressi di Cimiano ancora oggi possiamo trovare l'antica e timida chiesa dei Santi Re Magi (le prime notizie della struttura risalgono al XII sec.). Si trova in via Regina Teodolinda, tra i moderni palazzi di viale Palmanova, in quello che era l'antica frazione di Crescenzago chiamata Corte Regina, della quale nulla è rimasto.

Chiesa dei santi Re Magi

Nei pressi di questa chiesa, nel XV sec., avremmo potuto trovare un piccolo Lazzaretto, poi demolito con la costruzione di quello decisamente più grande di Porta Orientale (XVI sec.).

Per potersi recare in queste due chiese oggi è necessario attraversare i binari della metropolitana (a Cimiano i treni provenienti dalla fermata Udine "emergono" dai tunnel sotterranei) e via Palmanova, avvalendosi dei passaggi sotto il livello stradale.

Con l'inaugurazione di questo tratto della linea 2 della metropolitana (1969), gli abitanti della parte storica di Cimiano si ritrovarono "improvvisamente" separati da coloro che abitavano in zona via Padova. Per questa ragione, la staccionata della metro fu scherzosamente ribattezzata "Il muro di Berlino"!

Il "Muro di Berlino"

Fortunatamente, a partire dal 1965 i cimianesi (si chiameranno così?) poterono recarsi nella nuova chiesa dedicata anch'essa ad un "santo educatore": san Gerolamo Emiliani

La moderna struttura colpisce per la sua luce colorata, dovuta alle tante vetrate variopinte, per il ripetersi dell'ottagono quale forma per tutte le cappelle e il corpo centrale, nonché per la originale torre campanaria.

Chiesa san Gerolamo Emiliani


Eppure se si parla di Cimiano, il primo luogo che salta in mente è il Parco Lambro: per potersi recare nel grande polmone verde cittadino è infatti comodo scendere a questa fermata della metropolitana.

Uno degli ingressi del Parco Lambro

Il parco nacque nel 1936 con il preciso intento di ricreare, in questo angolo di campagna milanese attraversata dal fiume Lambro, gli ambienti tipici della Lombardia. Per questa ragione fu creata una montagnetta e due laghetti artificiali; inoltre furono messi a dimora molti alberi tipici della Pianura Padana. Poi arrivò la Guerra che spinse i milanesi a radere al suolo tutti gli alberi allora presenti per potersi riscaldare nelle sere di inverno. Poi si impose il benessere del dopoguerra che inquinò il Lambro e che spinse a prosciugare i laghetti pieni di acqua putrida del fiume.

Ad oggi gli alberi sono stati ripiantati (senza più l'iniziale finalità), mentre il fiume risulta essere ancora inquinato, tanto da ammorbare l'aria del parco.

Fa rabbia pensare come un fiume qui presente da milioni di anni sia stato ucciso dall'uomo per semplice ingordigia in soli 50 anni! 

Fiume Lambro

Negli anni Settanta inoltre il Parco Lambro era assolutamente non raccomandabile, in quanto luogo di prostituzione, spaccio e densamente popolato da tossicodipendenti. La situazione decisamente migliorò nel decennio successivo anche grazie all'opera di don Mazzi e di Exodus. In quel periodo infatti il prete veronese, direttore del vicino istituto don Calabria (oggi Piamarta), insieme all'associazione Madri Anti Droga, contribuì enormemente al risanamento del parco stesso.

Don Antonio Mazzi (95 anni e non sentirli!) con l'arrivo in via Pusiano prese coscienza della piaga della droga, così creò le "carovane exodus": su esempio delle carovane dei pionieri americani, nel 1985, 13 ragazzi tossicodipendenti insieme a 6 educatori professionali viaggiarono per un anno in tutta Italia. L'esperienza risultò essere un primo passo per il benessere degli utenti, tanto da spingere il Comune di Milano ad affidare una cascina abbandonata (Cascina Mulino Torrette) all'interno dello stesso Parco Lambro, alla ormai costituita Fondazione Exodus (1986).

Don Antonio Mazzi.
Foto tratta da www.famigliacristiana.it


All'interno di questo polmone verde infatti esistono ben 5 cascine che in passato si occupavano dei terreni agricoli, oggi parco. Solo una di esse è ancora in funzione, mentre le altre sono state quasi tutte restaurate e destinate ad altre funzioni.

                            Ruota del mulino all'interno di Cascina Torrette, sede di Exodus.                                                                                     Foto tratta da www.z3.mi.it


Mi piace concludere questo divertente post (…almeno per me lo è stato e spero lo stesso per il mio paziente lettore) con un personaggio davvero emblematico per Milano: Angelo Rizzoli.

Il piccolo Angelo (classe 1889) perse il padre ancora prima che lui nascesse, così finì ai Martinitt (orfanotrofio maschile), al pari di tanti altri suoi coetanei.

Qui imparò il mestiere di tipografo che gli permise di diventare, partendo da una piccola tipografia in centro, uno degli editori più ricchi e potenti di Italia.

Angelo Rizzoli. Foto tratta da www.sportmemory.it

Nel 1960 decise di trasferire a Cimiano gli stabilimenti della Rizzoli Editori (ad oggi in parte demoliti).

Sede della Rizzoli Corriere della Sera

Il legame affettivo tra l'ottuagenario Cumenda e Cimiano fu tale da spingere la municipalità a intitolare a lui una via (dove oggi sorge la sede della casa editrice) e a far celebrare proprio qui il suo funerale.

Case Minime in via Rizzoli


Insomma Cimiano può veramente vantarsi di essere un quartiere di Santi, imprenditori ed educatori...categoria, quest'ultima, alla quale mi onoro di appartenere.