martedì 17 novembre 2015

VIA SAN VITTORE



Da corso Magenta, per giungere in via san Vittore, bisogna spostarsi in piazzale Baracca, per poi percorrere un breve tratto di circonvallazione interna e svoltare a sinistra.
Questo tratto di cerchia dei bastioni prende il vecchio nome di corso Magenta: viale di porta Vercellina.

Al posto di piazzale Baracca, fino al 1885 avremmo trovato la porta neoclassica dedicata alla vittoria di Magenta.

Porta Magenta in via di demolizione

Se dal viale si imbocca via san Vittore, è possibile dopo poco incrociare sulla destra via Matteo Bandello (precedentemente chiamata via ochette) la quale conduce in via Gian Battista Vico. All'incrocio con quest'ultima sorge l'originale casa Candiani: finita di costruire nel 1885 su ordine dei proprietari di una famosa fornace, si caratterizza per la sua facciata che presenta un nutrito campionario di elementi in cotto, quasi quale forma di pubblicità della ditta di famiglia.
Nel portone è invece possibile trovare deliziose, quanto bisognose di restauro, statue in terracotta (vedi immagine di apertura).

Casa Candiani
Per proseguire la visita è necessario tornare sui propri passi. Lungo l'altro marciapiede della via Bandello è carino sorprendersi ad ammirare una vera di pozzo, probabilmente di origine rinascimentale, inserita nel cortile di un moderno condominio!

Vera di pozzo rinascimentale
Sul lato sinistro di via san Vittore (se si cammina in direzione della chiesa di sant'Ambrogio), si interseca via Morozzo della Rocca che si apre con un ampio spazio. Dove oggi sorgono palazzi moderni ospitanti, tra l'altro, una sede distaccata dell'Università Cattolica, avremmo trovato fino al 1938 la chiesa neoclassica di Santa Maria in Loreto, con annesso ospedale Fatebenefratelli, fondato nel 1845.
La vocazione ospedaliera tuttavia via san Vittore non l'ha persa: al civico 12 infatti possiamo trovare uno degli ospedali più importanti della città, l'ospedale san Giuseppe. Fondato nel 1875 (nonché completamente rifatto negli anni 70 del novecento) quale filiale dell'attuale ospedale Fatebenefratelli, convisse con quello di santa Maria in Loreto per quasi tre decenni.

Santa Maria in Loreto (si intravede il campanile) con annesso ospedale Fatebenefratelli (sulla strada)
Poco distante da via Morozzo della Rocca, si interseca via degli Olivetani, che conduce al carcere di san Vittore. Al posto della struttura penitenziaria, fino al 1872, avremmo trovato il monastero cappuccino di san Vittore agli olmi, edificato nel luogo dove si suppone fosse stato decapitato san Vittore martire.
Storicamente questo carcere veniva chiamato dai milanesi "duu" o "metà del quatter" perché situato in piazza Filangieri 2.

Carcere di san Vittore (ripresa aerea)
   
L'attrazione principale della via san Vittore è senz'altro l'omonima chiesa, con il vicino museo della Scienza e della Tecnica.
La storia della basilica è molto particolare, anche se le notizie che si hanno non sono certe, vista l'origine molto antica.
Nel III/IV d.C. in quest'area infatti avremmo trovato il Mausoleo dell'imperatore Massimiano, di forma ottagonale, con vicino un tempietto dedicato ad Ercole (divinità protettrice del sovrano); entrambi erano circondati da un ampio recinto, sempre di forma ottagonale.
Dopo l'editto di Costantino, il tempietto venne riutilizzato per custodire le spoglie di san Vittore (anche se qualcuno sostiene che si trovino nella chiesa di san Vittore sull'isola Bella); da qui il nome di chiesa di san Vittore al corpo. Il Mausoleo divenne una chiesa intitolata a san Gregorio Magno.
Attorno all'anno 1000 la chiesa fu riedificata in forme romaniche e affidata ai Benedettini, i quali costruirono il proprio monastero (l'attuale Museo della Scienza e della Tecnica).
L' area antistante la chiesa, fino al XVI sec., si presentava in forme decisamente diverse; es. la basilica aveva un orientamento opposto rispetto a quello attuale, con la facciata verso l'attuale oratorio parrocchiale. Una preziosa testimonianza ci viene offerta da un disegno del 1570.

Disegno di anonimo olandese, conservato in un museo di Stoccarda

E' possibile notare, oltre alla chiesa di san Vittore in posizione centrale, sulla destra l'antico mausoleo ottagonale e, in primo piano, la chiesetta di san Martino (abbattuta nel 1788).
Nel 1507 l'ordine dei Benedettini si era ridotto a soli due monaci e per tale ragione, l'abate del monastero olivetano di santa Maria di Baggio, invitò i propri confratelli senesi a prendere possesso della struttura. Gli olivetani, al proprio arrivo, decisero di stravolgere la chiesa e il suo sagrato. Eliminarono infatti il mausoleo e rifecero in forme manieristiche la chiesa. Da allora non è più cambiata e ad oggi, grazie al contributo dei volontari del Touring Club Italiano(http://www.touringclub.it/destinazione/128285/mausoleo-imperiale-di-san-vittore-al-corpo), è possibile ammirare quel poco che è rimasto dell'area paleocristiana sotto la chiesa, insieme a parte del recinto ottagonale, nel secondo chiostro del Museo.

Resti dell'antica recinzione del mausoleo imperiale

Sempre grazie ai volontari, è possibile visitare la graziosa cripta dove è conservata la pietra che si sostiene fosse stata usata per la decapitazione di san Vittore.



La chiesa si distingue inoltre per la sua facciata perché risulta essere l'unica in tutta la città ad essere incompiuta.



















Eppure ciò che colpisce è lo stupore che si prova nell'entrare in chiesa: meravigliosa è la volta a botte con lacunari affrescati, nonché gli innumerevoli dettagli che occupano tutti gli spazi dell'edificio religioso.




















Balcone all'interno della cappella Arese (sesta, navata destra), probabilmente utilizzata dalla fam. Arese committente per assistere alle funzioni religiose.

Accanto alla chiesa troviamo il Museo della scienza e della tecnica, ex monastero olivetano http://www.museoscienza.org/
Nelle sue sale trovano posto mostre permanenti e temporanee, nonché laboratori. Eppure gli spazi più interessanti vengono aperti solo in occasione di convegni: la sala del Cenacolo e la sala delle Colonne.
La prima altro non era che l'antico refettorio dei monaci; si trova dopo il secondo chiostro ed è interamente coperto di affreschi settecenteschi. Sulla destra si nota un piccolo pulpito per la lettura durante i pasti e, di fronte, una figura femminile con il dito sulle labbra invita al silenzio.


Sala del Cenacolo

La sala delle Colonne è situata al primo piano dell'edificio monumentale, a metà della Galleria Leonardo da Vinci e altro non era che la biblioteca del monastero... Affascina la sua struttura a tre navate su colonne.


Sala delle Colonne

Frammento di roccia lunare regalato dal presidente Nixon
 all'ex presidente della repubblica italiana Giovanni Leone
nel 1973.

Sezione telecomunicazioni
 
La parte esterna è occupata dal padiglione ferroviario, aeronavale e dal sottomarino Toti.
Il primo riproduce la stazione ferroviaria di Monza del 1884


Padiglione ferroviario

















Il Toti è il primo sottomarino costruito in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale; dal porto di Augusta (SR) venne trasportato a Milano nell'estate del 2005 tra ali festanti di cittadini.

Arrivo del Toti in città


I due motori del Toti vennero soprannominati Turiddu e Ianuzzu in onore del Verga.


Sottomarino Toti, visitabile anche all'interno, con visita guidata













La zona tra via san Vittore e corso Magenta è senz'altro una delle più prestigiose di Milano. Addirittura la via De Grassi risulta essere una via privata, con tanto di cancello d'ingresso e citofoni ai due capi della strada! Le dimore sono tra le più prestigiose della città...


Via Aristide De Togni

Via san Vittore si conclude, all'incrocio con via Carducci, nei pressi della basilica di sant'Ambrogio, con uno dei palazzi meneghini più originali: Castello Cova (1910), in stile neo-medievale.



Castello Cova
Altri esempi di residenze simili è possibile trovarli in via Carducci 28 (Palazzo Gonzaga di Vescovado, 1906) e 33, lungo quella che anticamente era la contrada di san Gerolamo (chiamata così per la quattrocentesca chiesa omonima, con annesso convento dei padri Somaschi, demolita nel 1920).



martedì 14 luglio 2015

SANTA MARIA DELLE GRAZIE E CENACOLO VINCIANO



Quando il Moro decise di far diventare grande la propria città lo decise anche a livello artistico. Era Milano infatti una delle capitali europee del Rinascimento ed è proprio questo stile architettonico a caratterizzare santa Maria delle Grazie. Visitare questa chiesa è come fare un salto nel passato di cinquecento anni!
Fu proprio Ludovico Sforza a volere fortemente l'edificio. Desiderava infatti farlo diventare mausoleo per la sua famiglia.

Nel 1463 il conte Gaspare Vimercati donò al proprio signore questo terreno, fuori porta Vercellina, dove sorgeva una cappella dedicata a santa Maria delle Grazie, con la promessa di edificare la nuova struttura religiosa senza demolire quella pre-esistente.
La cappella infatti esiste tutt'ora (anche se con sembianze molto diverse) e si trova in fondo alla navata sinistra.




Nel XVI sec. venne invece qui traslocato, dalla chiesa di s. Eustorgio, il Tribunale dell'Inquisizione; per l'occasione vennero creati nuovi locali vicino al refettorio, poi abbattuti due secoli dopo. Ad oggi di quella struttura rimane solo l'attuale atrio del refettorio che ospita l'ingresso del Cenacolo Vinciano.


Questa imponente graziosa chiesa detiene due primati: essere, insieme al vicino cenacolo, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO ed essere uno dei due conventi sopravvissuti in città. Quello di santa Maria delle Grazie è domenicano, mentre quello di s.Angelo francescano.
Sicuramente la presenza dell'Ultima Cena di Leonardo ha contribuito a far ascrivere questa chiesa nella lista dei beni tutelati dall'UNESCO, eppure si suppone che un altro grande artista rinascimentale, il Bramante, vi abbia lavorato per renderla così bella. Gran parte della critica infatti sostiene che l'artista marchigiano abbia disegnato la tribuna con il maestoso tiburio, nonché la Sagrestia vecchia e il Chiostro piccolo.
Il contributo di Leonardo da Vinci non si limitò al solo Cenacolo: a lui vengono infatti attribuiti il precedente affresco della lunetta del portale e i fregi presenti nella Sagrestia vecchia.
La forma della chiesa è sicuramente originale: a fronte dell'assenza del transetto, è possibile ammirare una tribuna molto possente progettata in queste forme e dimensioni per ospitare i sarcofagi dei membri della famiglia Sforza...progetto che però rimase solo sulla carta per l'arrivo dei francesi a Milano.
Le cappelle sul lato destro sono sicuramente più sfarzose di quelle a sinistra dato che queste ultime vennero abbattute durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

Uno degli ambienti più curiosi e deliziosi è il Chiostro piccolo o delle rane (vi si accede dalla cappella della Madonna delle Grazie, passando per la nuova Sagrestia), così chiamato per la presenza di una fontana con quattro rane che sputano acqua dalla bocca.

Chiostro delle rane


Da qui è possibile accedere alla Sagrestia vecchia, o Sacrestia del Bramante, dalla quale, oggi dietro agli armadi sulla destra, partiva una antica via di fuga, chiamata Sforzesco al convento, capace di collegare il Castello Sforzesco con questa chiesa.
Si racconta che tale percorso venisse usato soprattutto da Leonardo che qui giungeva dal Castello agli orari più insoliti per dipingere il Cenacolo.

Sagrestia Vecchia

Dal Chiostrino inoltre è possibile ammirare un delizioso giardino privato dei frati, il Chiostro del Priore. Altrettanto non si può dire di quello grande, o Chiostro dei Morti, non più utilizzato per pregare, ma per parcheggiarvi le macchine...!


Chiostro del Priore




Esiste a Milano un'attrazione poco visitata dai milanesi, ma molto conosciuta dagli stranieri: l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci.


Quest'opera venne realizzata dal genio toscano tra il 1494 e il 1498 su commissione di Ludovico il Moro. Il signore di Milano chiese infatti a Leonardo e a Donato Montorfano di dipingere nel refettorio dei frati domenicani due soggetti classici per questo ambiente: l'Ultima Cena e la Crocifissione.

"Crocifissione" di Donato Montorfano. E' possibile notare le aggiunte posteriori di Leonardo: Ludovico il Moro con il figlio Massimiliano (in basso a sin.) e la moglie Beatrice d'Este con l'altro figlio Francesco (in basso a destra), oggi poco leggibili.

Al contrario di Donato, Leonardo ci impiegò tanto tempo perché era, come verrebbe definito oggi,  un vero e proprio artista: amava mettere mano alle proprie opere quando più si sentiva ispirato. Le cronache dell'epoca raccontano infatti che passava intere giornate a dipingere senza toccare cibo, oppure capitava a volte che giungesse al refettorio alle ore più inaspettate del giorno e della notte, solo per osservare la sua opera ancora incompiuta, per poi andarsene dopo poco.

Dunque la tecnica dell'affresco (la quale prevede che l'artista completi l'opera prima che si asciughi la calce fresca sul muro) non poteva fare al caso di Leonardo e per questo optò per la tempera a muro.
Purtroppo però questa scelta ha comportato il precoce e definitivo (vedi parte inferiore del viso di Giovanni) deterioramento dell'opera, dato che la tempera è meno duratura dell'affresco.
Infatti già solo dopo un anno dalla sua conclusione, si notavano delle crepe anche perché a Leonardo era capitata la parete nord, quella che confinava con la cucina dei frati e dunque più soggetta ad escursioni termiche.
Nel corso dei secoli diversi restauratori vi hanno messo mano, spesso anche modificando alcuni connotati originali come, ad es., l'apostolo Andrea che non risulta più essere di profilo, ma un po' a tre quarti.
Altre peripezie visse questo dipinto nel corso dei secoli: nel XVII sec. i frati decisero di alzare la porta che metteva in comunicazione il refettorio con la cucina...Risultato: ad oggi Gesù e i due discepoli a Lui vicini risultano essere senza piedi!
Nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, una bomba colpì il refettorio, ma il Cenacolo e la Crocifissione rimasero miracolosamente illesi sotto dei teloni di protezione.



Il tema dell’Ultima Cena non è di certo originale; la prima rappresentazione grafica risale al V sec. D.c. (Codex Purpureus Rossanensis).





Eppure questo dipinto è diventato famoso (fino a quasi cancellare il ricordo collettivo delle altre Ultime Cene) per l’attenzione che pone Leonardo all'aspetto umano di Gesù e dei suoi discepoli (da qui la scelta di non dipingere le aureole). Anche le mani di Cristo sulla tavola rappresentano la doppia valenza del Messia: una rivolta verso l’alto (che indica il suo essere divino, celeste) ed una rivolta verso il basso (che rappresenta la sua natura umana e dunque terrestre).


Domenico Ghirlandaio "Ultima Cena" 1480.
Salta subito all'occhio quanto l'opera di Leonardo fosse più innovativa rispetto ad affreschi coevi, con un impianto meno originale.









In quanto uomo, Gesù viene ritratto con una espressione sofferente dopo aver annunciato che a breve morirà per colpa di un traditore che si nasconde tra gli apostoli.

Interessanti sono le espressioni dei discepoli che manifestano i propri “moti dell’animo” tramite le espressioni del volto e le posture. 

Gesù rimane al centro della scena: nonostante la solidarietà da parte dei commensali è solo nella sua umana paura della morte.

I discepoli invece sono raggruppati in quattro gruppi da tre.

Il più ricco di significati è quello alla destra di Gesù: Giovanni, Giuda Iscariota e Pietro.

Giovanni è affranto; Pietro, quasi vittima del panico, pone una mano sulla spalla di Giovanni, non per rincuorarlo, ma per chiedergli di chiedere a Gesù il nome del traditore; Giuda, chiamato in causa, si scosta da Cristo e, nel farlo, con il braccio destro (quello che trattiene la borsa con la cassa del gruppo o le trenta monete d’argento del tradimento) urta e fa cadere la saliera.





Nel terzetto a sinistra di Gesù colpisce Tommaso con il dito alzato, probabilmente a chiedere “sono forse io?"...lo stesso dito che poi utilizzerà per dissipare la propria incredulità a fronte del Cristo risorto.



Il momento immortalato da Leonardo è stato tratto dal Vangelo di Giovanni, poco prima che l’autore posi la propria testa sul petto di Gesù. In questo testo, diversamente dagli altri tre, non si narra dell’istituzione dell’Eucarestia, ecco dunque spiegato perché non compare il calice.



In compenso anche Leonardo sceglie di rendere attuale la sua opera posizionando tra i piatti una pietanza tipica del XV sec: anguille all’arancia, quando le arance non erano ancora conosciute nella terra di Gesù (si trovano in un piatto sotto Filippo).
Tradizione vuole infatti che ogni autore delle Ultime Cene ritragga cibi tipici della propria zona (es il brezel in una chiesetta della Val di Fiemme, Trento) nonché cibi in abbondanza in contrasto con la tradizione della sobria Pasqua Ebraica (quella che si accingeva a celebrare Gesù il Giovedì Santo): erbe amare, pane azzimo, salsa charoset, agnello arrostito, vino.

                                              D. Crespi "Ultima cena" (1625); da Wikipedia. 
                                                         Colpisce la tavola abbondantemente fornita



Addirittura nell’Ultima Cena del Tintoretto compare anche una torta con le candeline!





Leonardo per dipingere i personaggi del suo capolavoro traeva spunto dalla realtà. Si narra che il priore del convento si fosse lamentato con Ludovico il Moro per la lungaggine con cui procedevano i lavori e per questa ragione, la sua faccia è quella di Giuda Iscariota!...Anche se c'è chi sostiene che in realtà quelle siano le fattezze di Savonarola.
Leonardo volle invece ritrarsi nei panni di Giuda Taddeo.


  
Questo dipinto è talmente famoso da aver spinto qualche studioso a vedere significati molto nascosti.
Ad es una teoria (poi ripresa da Dan Brown nel “Codice da Vinci”) sostiene che il primo discepolo alla destra di Gesù non sia Giovanni Evangelista, ma la Maddalena che si suppone fosse l’amante di Gesù. Inoltre, nel periodo della Passione, la donna era incinta e ad oggi esistono dei discendenti di Gesù. Questa tesi è avvalorata dal fatto che il discepolo è molto scostato dal maestro tanto da venire a creare una forma paragonabile ad un calice. Dunque il Santo Graal (Sangue Reale) non sarebbe la coppa dell’Ultima Cena, ma Il ventre della Maddalena che ospitava il discendente di Gesù.
Il legame tra Gesù e Giovanni/Maddalena sarebbe poi avvalorato dal colore dei vestiti tra loro speculari. Giovanni si ritiene che sia in realtà la Maddalena perché ritratto senza barba e con un aspetto femminile...In realtà questo è dovuto al fatto che fosse il discepolo più giovane.
Vicino a Giovanni si intravede una mano che stringe un coltello; qualcuno ha supposto che appartenga ad una persona nascosta. A ben guardare però la mano è quella di Pietro ed è armata perché Leonardo vuol fare riferimento all’episodio successivo narrato da Giovanni nel suo Vangelo: Pietro taglia con la spada un orecchio ad un soldato che aveva il compito di arrestare Gesù.
Alcuni studiosi inoltre han voluto leggere nelle mani dei discepoli sulla tovaglia le note scritte su un tetragramma, mentre altri sostengono che ogni personaggio apparterrebbe ad un segno dello zodiaco (Gesù è il sole centrale...), secondo una precisa volontà di Leonardo.
…Ma san Marco e san Luca dove sono? In realtà i due Evangelisti non erano apostoli di Gesù, ma di san Paolo!



Salvador Dalì "Ultima Cena" (1955): l'emozione che travalica i simboli