mercoledì 22 dicembre 2021

MILANO CITTA' APERTA



Curioso è studiare la storia di Milano e accorgersi che la "città con il cuore in mano" è sempre stata una città aperta.

Il capoluogo lombardo, si sa, ha origini celtiche e nel corso dei secoli ha subito molte invasioni straniere.

Anche molti personaggi simbolo non sono milanesi.

Stupisce infatti pensare che sant'Ambrogio nacque a Treviri, nell'attuale Germania. I Visconti erano piemontesi, mentre Francesco Sforza aveva origini romagnole. "In compenso" il scior Brambilla veniva dalla val Brembana.

Sant'Ambrogio

A partire dagli anni Novanta questa città si è ancora più "imbastardita" e così ad oggi vivono qui svariate comunità straniere.

Una delle più numerose è proprio quella peruviana che a Milano in genere si ritrova la domenica mattina presso la basilica di santo Stefano, nella centralissima ed omonima piazza.

Basilica di santo Stefano

E' questa chiesa una delle più antiche della città e suoi danni denunciano la necessità impellente di essere ristrutturata.

Si trova qui, esattamente nell'ultima cappella della navata sinistra, la riproduzione  di un dipinto murale molto importante per i peruviani: "Senior de los milagros" ("Signore dei miracoli").

Signore dei miracoli


Lima è a quanto pare una città decisamente sismica dato che nel corso dei secoli ha vissuto molti terremoti.

Quello del 1655 fu proprio devastante: gli edifici crollarono come castelli di sabbia, ma il muro di una chiesa rimase invece in piedi. Muro decorato da una deliziosa opera di uno schiavo angolano: Cristo in croce tra una Madonna Addolorata, Maria Maddalena, il Padre e la Colomba dello Spirito Santo.

A partire da quel terremoto l'immagine divenne luogo di pellegrinaggio da parte dei fedeli, i quali ottennero anche svariati miracoli da questa Crocifissione.

Trascorsero 32 anni e l'opera muraria fu riprodotta su tela; da allora viene portata una volta l'anno in processione a Lima, seguita da un corteo di viola vestito.

Quello peruviano è un popolo a vocazione migratoria e in ogni principale centro urbano viene perpetrata questa antica tradizione (a Milano esiste appunto questa copia).

Dunque, se desideriamo assistere ad una funzione verace, possiamo recarci in santo Stefano l'ultima domenica di ottobre.

In questa giornata infatti si porta avanti la tradizione di fare una processione per le vie del centro con l'immagine sacra…

Appuntamento dunque ad ottobre 2022! 



lunedì 22 novembre 2021

IL SCIOR BRAMBILLA

Andrea Brambilla, in arte Zuzzurro (fonte: www.oubliettemagazine.com)

 

 

È passato decisamente del tempo da quando l’appello nelle classi milanesi iniziava con Brambilla per concludersi con Viganò, passando da Cattaneo e Colombo.

Eppure, se molti conoscono l’origine del cognome Colombo (post giugno 21), pochi invece sanno da dove proviene “il scior Brambilla”.

Correva il 1443 e gli abitanti di un piccolo paese della Val Brembana, chiamato Brembilla, si rivoltarono contro la Repubblica di Venezia, potenza dominante di queste terre dell’attuale Lombardia orientale.

Brembilla era infatti l’unico Comune ghibellino in una terra prettamente guelfa.

Gli abitanti spingevano affinché in quelle lande tornassero a governare gli ex dominatori: i ghibellini Visconti.

Stanca di questa situazione, Venezia convocò i capi famiglia di Brembilla con la scusa di ascoltare le loro ragioni. In realtà questi nobil uomini furono imprigionati e subito dopo fu inviato un messo a comunicare quanto accaduto ai valligiani.

Si dice che “ambasciator non porta pena”, eppure il messo veneziano aveva il compito di comunicare qualcosa di terribile.

Il potente esercito lagunare sarebbe infatti giunto da lì a qualche giorno per radere al suolo l’intera Brembilla e, siccome si sa che “uomo avvisato mezzo salvato”, gli abitanti avevano giusto il tempo di “fare bagagli” e sgomberare il paese il prima possibile.

Cosa che fecero immediatamente.

Accorsero quindi in massa a Milano e qui Filippo Maria Visconti, memore della loro fedeltà, non solo li accolse, ma decretò che per un anno non avrebbero pagato le tasse…della serie “non tutti i mali vengono per nuocere”.

Ecco dunque spiegato l’origine del milanesissimo (anzi, bergamasco) nome del “scior Brambilla”.


Filippo Maria Visconti

martedì 5 ottobre 2021

BREVE SPIEGAZIONE SUL PERCHE' MILANO CONTRIBUI' ALLA STORICA NEUTRALITA' DELLA SVIZZERA

Fonte: www.ilcannobino.it


Curioso è sicuramente pensare alla storia europea, così diversa da quella attuale.

Siamo infatti reduci da più di 70 anni di pace e chi, come me, è nato e cresciuto senza conoscere la guerra, fa fatica a pensare che in passato fosse normale cercare di invadere i territori del "vicino di casa".

Fino alla costituzione degli stati nazionali poi era anche accettato partecipare o essere vittima di guerre all'interno delle mura delle stessa città.

Con queste premesse non ci fa specie conoscere la storia del XVI sec., storia di piccole Signorie o grandi stati nascenti in perenne lotta tra loro.

Quello che fa più specie però è pensare che all'agone politico partecipasse, più aggressiva che mai, la piccola Svizzera.

La sua neutralità infatti maturerà gradualmente e forse il Ducato di Milano un po' ha contribuito a questa decisione.

Con il nuovo secolo, ossia nel 1500, la confusione si impossessa del Ducato governato dall'ormai deposto Ludovico il Moro…


Ludovico il Moro
Fonte: www.trentaminuti.it

In quell'anno infatti i francesi conquistano Milano, eppure il suo dominio non sarà stabile: nel 1515 le truppe cantonesi si impossessano dei territori del vecchio Ducato, compreso il Ticino. 

I francesi però non rimangono a guardare. Si alleano con la Repubblica di Venezia e nel 1515, nella battaglia di Marignano, sconfiggono definitivamente gli svizzeri. 

Ma la festa dura poco: nel 1529 arrivano stabilmente gli spagnoli che governeranno Milano e la Lombardia per ben 150 anni!

La battaglia di Marignano è stata a quanto pare traumatica per gli svizzeri, i quali lasciano sul campo ben 8000 soldati.

Da allora infatti la politica dei cantoni si può sicuramente definire di basso profilo per quanto riguarda gli scontri tra stati europei...Rimane però l'abitudine di inviare mercenari alle varie potenze militari, non ultimo lo Stato Vaticano, con le famose guardie svizzere.

Fonte: www.rsi.ch


La neutralità della Svizzera sarà poi ufficializzata con la Restaurazione alla morte di Napoleone (1815).

Insomma: Milano ingolosisce, ma poi se provi a prenderla rischi di rimanere talmente scottato da non volerne più sapere di fare la guerra! Pensaci Italia, pensaci!

Fonte: www.electomagazine.it


mercoledì 8 settembre 2021

"FORSE NON TUTTI SANNO CHE…" : VIE MILANESI DAVVERO SORPRENDENTI



 "Qui morì Vione". Questo si poteva leggere nel XIV sec. a Milano, nell'attuale Morivione. 

Vione altro non era che un solitario bandito, il quale prese l'abitudine nel 1300 di terrorizzare gli abitanti del contado a sud di Milano. Esasperati dalle continue scorribande, i residenti del posto si rivolsero ad Azzone Visconti, Signore di Milano, il quale fece uccidere il brigante. Per ricordare l'evento venne eseguita la famosa scritta su un muro, dalla quale però a breve scomparve la parola "qui". Ecco spiegata l'origine della via Morivione che diede poi nome all'intero quartiere.

Spesso nelle città antiche, l'origine del nome di una via va fatto risalire ad un episodio storico della città.


E' il caso ad esempio di via Case Rotte

Sede della Banca Commerciale Italiana
sorta al posto delle Case Rotte.
Autore: PAOLOBON140 

Questo buffo nome nacque nel 1311 in seguito ad una cruenta battaglia che portò alla completa demolizione del quartiere dei Della Torre. Erano questi ultimi schierati contro la nobile famiglia dei Visconti per il controllo della città. Tuttavia i Torriani risultarono essere perdenti dal momento in cui si trovarono contro addirittura l'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. 


Stesso discorso per via Valpetrosa … 

Nel 1162 Milano fu interamente rasa al suolo dall'Imperatore Federico Barbarossa. Si suppone che, dove oggi troviamo la via, vennero ammonticchiate le macerie (pietre) per la ricostruzione della città.


Ma i milanesi, o meglio chi la governava in quegli anni, non sono sempre stati inermi nei confronti degli invasori (o potenziali tali).

Ne sanno qualcosa gli spagnoli i quali, subentrati ai francesi nel dominio della città nel XVI sec., pensarono bene di rinforzare le difese del Castello. Gli iberici, che "non dormivano di notte" al pensiero che i gallici potessero tornare, capirono che conquistare il maniero meneghino significava entrare in possesso della città. Fu così che costruirono attorno al Castello Sforzesco delle mura a stella estese all'incirca fino all'attuale corso Sempione. Non sentendosi abbastanza sicuri, fecero costruire anche uno stratagemma militare chiamato Porta Tenaglia. Gli invasori infatti al loro arrivo avrebbero trovato questa porta stranamente aperta. Nel caso in cui si fossero introdotti, sarebbero rimasti incastrati, a mo' di tenaglia, dentro ad una sorta di corridoio circondati dall'esercito spagnolo. 

Di tutte queste difese militare non rimane più traccia, se non nel nome di una via vicino a Moscova: via Porta Tenaglia che ha tutt'oggi l'importante compito di ricordarci che qui avremmo trovato quel micidiale finto ingresso alla città. 


Eppure non tutte le vie milanesi ci riportano ad episodi cruenti e distruttivi. La via Berna ad esempio ci ricorda un episodio di solidarietà tra i popoli.

Correva l'anno 1946 e Milano versava in condizioni davvero disastrose: mediamente un edificio su quattro era stato bombardato e molti erano i cittadini che non avevano più un tetto sulla testa. La vicina Svizzera, uscita con le ossa integre dal secondo conflitto mondiale, regalò alla città di sant'Ambrogio 40 casette di legno, nonché una chiesa prefabbricata, un emporio e una scuola materna. Oggi il Villaggio Svizzero non c'è più, ma in compenso, in segno di gratitudine, la municipalità ha deciso di intitolare alcune vie in zona Inganni alle città svizzere. Ecco perché molte agiate famiglie si ritrovano attualmente a vivere in via Zurigo, via Berna, via Lucerna e via Basilea.





Via Laghetto

Anche la via Laghetto ci riporta ad un momento molto costruttivo per la città. Qui infatti avremmo trovato, fino al 1857 un piccolo porto (conosciuto con il nome di "laghetto di santo Stefano", vista la vicinanza dell'omonima chiesa) utilizzato per scaricare i marmi giunti via Navigli e poi utilizzati per la costruzione del vicino Duomo.


Alcune vie, con i loro nomi così originali, possono trarre in inganno. E' il caso ad esempio di via Asole, la quale non sta ad indicare la presenza di svariate sarte intente a cucire delle asole, ma semplicemente l'antica presenza di numerose asine.

Anche via Croce Rossa non ospitava la moderna organizzazione umanitaria, ma semplicemente una osteria con una austera insegna con la croce rossa.


Tra tutte poi la via Gentilino è quella che maggiormente trae in inganno: non ospitava infatti persone educate e garbate, ma bensì un cimitero. Il suo nome pare derivasse dall'aspetto armonioso delle celle funerarie che qui erano state edificate.


Fonte: www.visitingmilan.it

Cosa dire infine di piazza della Conciliazione? Il suo toponimo rimanda alla fine della sofferenza di una guerra o all'armonia tra i popoli; in realtà è il luogo più enigmatico di Milano. Ad oggi infatti nessuno è riuscito a capire qual è l'origine del suo nome.


Tuttavia, se alcune vie possono trarre in inganno, altre non possono nemmeno vantarsi di essere...una via!

E' il caso ad esempio di Verziere (e dunque non "via Verziere"). Questo luogo era talmente importante in passato per i milanesi (qui si vendeva la frutta e la verdura) che probabilmente nel tempo è stato semplicemente ricordato così.


Esiste un incrocio di vie a Milano che ha invece preso il nome del numero delle vie che lì si incontrano: Cinque Vie.


Infine, di tutte le vie meneghine, sicuramente quella più originale è la Strada della Carità: non "via" ma "strada". Non si conosce la ragione per cui con il tempo tutte le strade e contrade della città siano diventate vie e invece questa è rimasta "strada". Ad ogni modo, quello che si sa è che la zona ospitava una struttura religiosa di monaci cistercensi dediti alla carità. 


Passano i secoli, passano gli occupanti, passano le Giunte, ma la confusione non passa, anzi aumenta. L'attuale via Unione in origine si chiamava contrada dei Nobili; Napoleone la ribattezzò contrada dell'Eguaglianza; gli austriaci tornarono a rinominarla contrada dei Nobili; con il Risorgimento venne definitivamente chiamata via dell'Unione (degli italiani).


Eppure c'è una via che tenta di dimenticare il suo nome originario, pur non riuscendoci. La povera via Mazzini infatti in origine si chiamava via Carlo Alberto di Savoia, eppure la farmacia che si affaccia a metà strada rimane lì a ricordare a tutti le origini monarchiche di questa importante via.


Strana materia la toponomastica: governatori megalomani cambiano i nomi alle strade credendosi novelli Adamo incaricati da Dio a battezzare la terra sulla quale camminano. Ma i cittadini non fanno altro che andare in confusione; così capita che quella via che oggi espone un certo nome al suo principiare, viene chiamata da tutti con il suo vecchio appellativo.

…Ma questo non succede ormai più nella moderna metropoli milanese che vive al presente proiettata verso il futuro...scordandosi però così il suo passato.

Ecco, l'intento di questo mio post è anche quello di riscoprire le radici (e con esse l'origine dei nomi delle vie) di questa Milano così curiosa, così sorprendente. 


Tutte le calamite pubblicate un questo post sono create e prodotte da Emanuele Mantovani

mercoledì 28 luglio 2021

TRACCE CURIOSE DI STORIA CONTEMPORANEA IN QUEL DI BAGGIO...


Quante volte gli adulti vorrebbero tornare indietro per avere più tempo per studiare… E' quel che succede puntualmente a me: da studente non apprezzavo molto lo studio e ora che non sono tenuto a farlo, che non ho tempo, rimpiango quando ero tenuto a farlo. 

Sì perché studiare è un po' come fare lo speleologo: più scavi e più trovi; più trovi e più non vuoi fermarti.

Ecco che un post che credevo semplice mi ha aperto un mondo, tra l'altro vicino a casa. Il post sulla toponomastica milanese mi ha spinto infatti ad avere nozioni su un quartiere che già conoscevo (a quanto pare non abbastanza): Baggio, periferia sud ovest di Milano.

"Qui una volta era tutta campagna". Questa frase fatta si addice benissimo a via Berna e paraggi. Eppure lungo la parallela via Forze Armate nel 1931 venne edificato l'ospedale Militare di Baggio, nosocomio talmente esteso da raggiungere anche quella porzione di contado urbano poi chiamata via Berna. L'ospedale militare, che ospitò anche il geniale soldato Gianni Rodari, a un certo punto, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne requisito dai tedeschi. Dunque i militari italiani vennero curati presso i padiglioni che oggi troviamo in piazza Bande Nere, attuale sede dell'ATS. 

Ospedale Militare. 
Fonte: Wikipedia

Interessante è conoscere la storia di quest'ultimo edificio: nacque nel 1922 come Ricovero di Mendicità. Di quegli anni infatti era la legge che vietava l'accattonaggio, pena l'istituzionalizzazione presso strutture come quello di piazza Bande Nere. Con il passare del tempo tuttavia gli ospiti anziani ricoverati spontaneamente aumentarono, tanto da far mutare il nome alla struttura nel 1966 in Istituto Golgi Redaelli. Questa rinomata RSA lombarda nel 1990 si è spostata nella vicina via D'Alviano, lasciando quindi spazio agli uffici dell'ATS.

Sede uffici ATS p.za Bande Nere
Foto di Sonia Costanzo

Eppure l'ospedale militare in città non è sempre stato a Baggio; con Napoleone trovò spazio nell'antico convento benedettino di sant'Ambrogio, oggi sede dell'Università Cattolica. Qui venne ricoverato il soldato Ugo Foscolo, ferito durante una campagna militare napoleonica e operò il futuro papa Giovanni XXII, quale sanitario militare.

Un giovane futuro Papa Giovanni XXIII militare.
Fonte: www.avvenire.it

Particolare decisamente curioso e degno di questo blog è la rientranza che troviamo nel muro di cinta dell'ospedale militare in via Berna. Qui infatti si trovava un portone che si apriva ogniqualvolta giungeva un treno dalla vicina stazione di san Cristoforo. Lungo la via Angelo Inganni e poi via Berna infatti erano stati costruiti dei binari che permettevano ai feriti della Seconda Guerra Mondiale di essere rapidamente trasportati al nosocomio di Baggio.

Ospedale militare

Eppure la curiosità principale di via Berna era sicuramente il Villaggio Svizzero.

Al posto dell'attuale Parco Moravia infatti si trovava, nell'immediato secondo dopoguerra, un villaggio costituito da 40 casette tri famigliari di legno, gentilmente offerte dalla vicina Svizzera. I nostri neutrali vicini si erano fatti impietosire dalle condizioni in cui versava Milano subito dopo la fine della guerra. Mediamente un edificio su quattro era stato bombardato e tantissimi erano gli sfollati. Cinquecento di questi senza tetto trovarono asilo proprio in queste strutture gioiosamente dipinte di arancione con infissi verdi. Oltre alle case, c'era anche una chiesa, un emporio e una scuola materna. L'inaugurazione avvenne il 20 luglio del 1946 e gran parte di esse vennero abbattute verso la fine degli anni Cinquanta. In questo periodo infatti gli sfollati trovarono alloggio nei tanti appartamenti dei moderni condomini sorti in zona. 

La zona infatti nel tempo è decisamente cambiata e... "là dove c'era l'erba ora c'è una città". Così il Comune ha deciso di intitolare le vie qui attorno ad alcune città svizzere (Zurigo, Lucerna, Basilea) quale forma di ringraziamento. 

Eppure il Villaggio Svizzero non era l'unico: Milano ospitava tanti alloggi temporanei per gli sfollati.

Per quanto riguarda i profughi giuliani non ci è dato sapere se questi vennero ospitati in una struttura temporanea o definitiva (e dunque ancora esistente) nella prossima via degli Astri.

Ma decisamente più curioso e comunque attuale era il Villaggio Finlandese nella vicina via Primaticcio. 

Per conoscere la sua storia dobbiamo ringraziare Diego Abatantuono che qui è cresciuto nella casa dei suoi nonni paterni.

Nell'autobiografia ("Eccezzziunale veramente", 1997) racconta: 

Nell'immediato dopoguerra, una decina d'anni prima che io venissi al mondo, il Comune di Milano fa un gemellaggio con una città del Nord Europa. Noi costruiamo delle case là, nella tundra, e i finlandesi ci regalano delle abitazioni prefabbricate da collocare in città. 

Alcune erano in muratura, e cioè quasi normali (mio nonno abitava in una di queste). Altre sembravano degli chalet o delle baite,

Ma forse questi nordeuropei con il cuore in mano volevano fare soltanto un'azione simbolica, certi che queste casette sarebbero durate, come assicurato dai nostri amministratori, soltanto pochi anni per poi essere sostituite da case "classiche". Per ingentilire ulteriormente l'operazione, al quartierino dove furono "appoggiate" queste case regalo venne appioppata una topografia dai nomi floreali: via degli Oleandri, dei Gigli, delle Ortensie, delle Viole, dei Mughetti

Morale: quelle case che dovevano durare un lustro esistono ancora adesso. Quelle di legno no, invece di cinque anni ne resistettero solo trentacinque.

Giorno dopo giorno le famiglie che ci abitavano dentro si ingrandivano, si gonfiavano come si gonfiavano le pareti di legno con l'umidità, e si adattavano. Ogni inverno con le piogge e l'umidità il legno marciva, d'estate tutto si seccava e ogni settimana andava a fuoco una casa. Ma la gente dentro non voleva cambiare rione, e quando il Comune, dopo più di tre decenni, decise finalmente di abbatterle, gli abitanti si ribellarono. Popolazione strana, in quelle vie; gente, per usare un eufemismo, abbastanza "vivace".

Degli amici della mia compagnia di infanzia un po' sono morti, un altro po' sono o in galera o in comunità. Un gruppo ce l'ha fatta. Il clima era tosto. Per tornare al discorso delle case arriva il momento in cui il Comune decide di ascoltare le lamentele di quelli a cui marcivano gli chalet. Un giorno arrivano con delle ruspe e incominciano a costruire i nuovi alloggi (condomini di via delle Gardenie). Si trattava, secondo il piano di fare rientrare poi queste persone nelle nuove abitazioni, costruite seguendo moderni criteri. L'avevano fatte proprio lì negli stessi posti, così che la gente non perdesse le proprie amicizie, le proprie abitudini e il lavoro quando c'era. A un certo punto, però una volta costruite queste case, si accorgono che gli sono venute un po' troppo bene per i poveracci che devono entrarci e che la periferia non è poi così più estrema, allora decidono: "no, no, adesso voi andate tutti a Quarto Oggiaro e noi qui dentro mettiamo…" minchia, a questo punto i vivaci abitanti delle case di legno giustamente si ribellarono in maniera molto vigorosa, dimostrando che certe volte qualche risultato, non subendo passivamente, si può ottenere. Occuparono le case nuove. Arrivò la polizia e, constatato la difficile situazione, se ne tornò da dove era venuta. D'altra parte con ogni probabilità, in quel quartiere del Giambellino abitava anche qualche poliziotto...Questo è avvenuto nel 1980, ma è una storia che non mi riguarda direttamente perché io, come ho accennato prima, stavo nelle case in muratura e quelle non si sono mai toccate.   

Villetta dell'ex Villaggio Finlandese

In alcune vie ai margini del Villaggio dei Fiori è possibile trovare delle villette unifamiliari chiamate "case minime a schiera", fatte costruire dal Comune di Milano negli anni Cinquanta e finalizzate anch'esse a fornire un alloggio ai tanti sfollati per colpa della guerra.  Case minime chiamate così per le loro ridotte dimensioni e con la possibilità di coltivare qualcosa grazie al piccolo giardino retrostante.

Case minime a schiera


Eppure le Case Minime più famose in questa zona erano quelle case popolari costruite durante il Ventennio Fascista lungo la via Forze Armate, esattamente dopo l'ospedale militare. Vennero abbattute nel 1986 e al loro posto costruiti dei moderni condomini popolari che ad oggi avrebbero bisogno di una sostanziale ristrutturazione.


Tra questi grigi palazzoni è sopravvissuta qualche traccia antica e la più originale è senz'altro la palazzina a due piani che ospita tutt'ora un bar (ricorda quasi la casa del protagonista di "Up" della Disney…) chiamato "il Tabaccaio della Creta".

"il tabaccaio della Creta"

Era questo edificio di inizi Novecento molto probabilmente una stazione di posta per i cavalli diretti a Baggio. Inoltre le costruzioni antiche qui presenti fungevano un po' da porta di ingresso per la Cascina Creta (o Crea in dialetto) posta esattamente dietro al tabaccaio.

L'intera zona veniva chiamata così perché il terreno al proprio interno aveva una vasta presenza di argilla utile per la creazione della creta utilizzata poi a sua volta per la creazione di tegole e mattoni.

Nel 1937 però i lavoratori ed abitanti della cascina si trasferirono nella Cascina Creta Nuova (ancora presente e operante nella vicina via Ascona),  una struttura decisamente più moderna. Infine il Governo Fascista, quale risarcimento, offrì un posto di lavoro nelle fabbriche agli occupanti che avevano partecipato alla campagna d'Africa del '35. Furono queste due ragioni a decretare la fine completa della cascina vecchia, la quale venne abbattuta negli anni Ottanta.

Cascina Creta Nuova

Segno dei proiettili esplosi dai tedeschi in ritirata
 durante la Seconda Guerra Mondiale

Nel trasferirmi a vivere in questa zona mi sono sempre chiesto perché il Comune di Milano abbia intitolato una via così importante e grande ad una piccola città pugliese, ovvero Bisceglie (tanto da dare il nome al capolinea della metropolitana)… La spiegazione la si può trovare proprio nei paraggi del "Tabacchè de la Crea": qui anticamente c'era un viottolo di campagna ribattezzato dagli abitanti della zona, non si sa per quale ragione, proprio Bisceglie. 

Ingresso metropolitana

Per finire, sicuramente gli abitanti della zona Inganni avranno fatto caso ai nomi delle vie che circondano la chiesa di san Giovanni Battista alla Creta (chiamata così a ricordo della vicina omonima Cascina) sita a due passi dalla fermata della metropolitana. Qui le vie, al posto di chiamarsi con nomi di personaggi storici poco conosciuti, ricordano le diverse specie di uccelli: passero, usignolo, allodola, capinera, rondine, storno, cardellino. Questo è dovuto al fatto che la chiesa è gestita dai frati francescani e dunque, in onore al Poverello di Assisi sono state dedicate queste eleganti vie milanesi.

Facciata della chiesa con l'originale pulpito (a sinistra) 
progettato a fini estetici

La chiesa di Inganni merita senz'altro una visita per la sua originalità e perché conserva al proprio interno alcune curiosità.

Opera dell'architetto Giovanni Muzio, s. Giovanni Battista venne consacrata nel 1958. In questa zona della città infatti erano sorti diversi condomini e la comunità locale era sprovvista di una chiesa. Fu così che il francescano Padre Enrico Zucca convinse la signora Luisa Farina, vedova dell'industriale Giovanni Cabassi, ad utilizzare i propri fondi, non per la costruzione di una cappella di famiglia presso il Cimitero Monumentale, ma bensì per una chiesa da edificare nel quartiere. La signora acconsentì a patto che la Parrocchia portasse il nome di suo marito prematuramente scomparso. Fu così che la famiglia Cabassi coprì tutte le spese e donò il terreno alla Diocesi la quale, una volta costruita la chiesa, fece un'eccezione: abilitò una porzione della struttura a cappella mortuaria. 

Esiste all'interno della chiesa una statua seicentesca rappresentante sant'Antonio con in braccio il Bambinello, teneramente proteso a dare una carezza al Santo. Non si conosce l'origine dell'opera; l'unica cosa che si sa è che dopo qualche tempo venne considerata un po' sconcia per il contesto in cui era ospitata. Il Bambin Gesù infatti era nudo e per questa ragione gli furono creati delle braghette. Inoltre proprio nella nicchia che attualmente ospita la statua c'era un affresco che ritraeva il santo di Padova. Sin dall'inizio però quest'opera suscitò forti polemiche tra i parrocchiani perché si diceva che il santo fosse brutto in quel ritratto. Gli animi si esasperarono talmente tanto che un parrocchiano addirittura lo sfregiò. Per questa ragione l'opera venne cancellata e al suo posto posizionata la statua bronzea.   

Statua di sant'Antonio di Padova

Esiste inoltre all'interno della chiesa una cappella (chiamata "chiesina" dai parrocchiani) che fino a qualche anno fa veniva utilizzata come luogo per le confessioni. Venne dedicata a sant'Antonio e conserva degli affreschi anni Sessanta che ritraggono proprio il santo padovano. E' questo un ambiente sorprendentemente colorato ed accogliente che rischia però di non essere valorizzato, vista la sua posizione defilata.
Insomma Milano anche in periferia è in grado di sorprenderti e farti sentire turista a casa tua!


Affreschi di Pompeo Borra e Lisa Sotili

Crocifisso ligneo del XVII sec. sito in Sacrestia
e anticamente custodito nella chiesa del Villaggio Svizzero



Si ringrazia per le preziose informazioni
Giuseppe Bovi, Andrea Giorcelli, Frati della Parrocchia di san Giovanni Battista alla Creta e
Gianni ed Angelo Bianchi, autori del libro "Ad Ovest di Milano - Le Cascine di Porta Vercellina. 
Associazione amici Cascina Linterno" 
 


mercoledì 23 giugno 2021

STORIA DEI BAMBINI TROVATELLI MILANESI





Io racomando questo mio figlio fu batezato in nome Martino è nasuto il giurno di santo Martino...nato da legittimo matrimonio, che non ha mai avuto mal cattivo e faco questo per essere in gran bisogno...o 8 figli viventi...raccomando di fare l'impossibile e di dare subito una balia...che prometto di venire a prendere...io sono abitante in Milano.


Con queste parole amorevolmente scritte su un biglietto, si presentava un neonato nel 1839 presso la Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti in santa Caterina alla ruota a Milano.

Bambino decisamente "in buona compagnia": si calcola infatti che nella prima metà del XIX sec. si arrivò a una media di 2500 minori abbandonati all'anno presso questa istituzione.

Fu l'Ottocento decisamente il secolo dei trovatelli. La situazione economica lombarda infatti non permetteva alle donne, in assenza di servizi territoriali per l'infanzia, di assentarsi dal lavoro anche solo per il periodo dello svezzamento. Prese dunque piede l'abitudine di affidare, almeno nelle intenzioni dei genitori, il neonato al monastero di santa Caterina, per poi andarlo a riprendere una volta cresciuto. Il rientro nel nucleo famigliare naturale poteva dunque avvenire mediamente dopo due o sette anni, oppure non realizzarsi mai. Una volta cresciuto il bambino non veniva più considerato un costo insostenibile per la famiglia, ma forza lavoro per quella classe sociale che storicamente viene definita proletariato.

Eppure l'allontanamento era un fenomeno diffuso anche nelle famiglie più agiate: in età Moderna i figli maschi non primogeniti trovavano spesso ospitalità presso famiglie maggiormente altolocate, in qualità di paggi.

Ottorino Davoli "Il paggio". Foto di Ropaolo
Ottorino Davoli "Il paggio". 
Foto di Ropaolo


L'affido al monastero di santa Caterina avveniva il più delle volte tramite l'abbandono nella ruota degli esposti, la quale si trovava in un luogo discreto e facilmente raggiungibile nella struttura religiosa. Per avvisare i religiosi della presenza del neonato, c'era l'abitudine di attaccare un campanellino al piede, in grado di suonare con il movimento del piccolo. 

Insieme al campanellino in genere i genitori avevano l'abitudine di lasciare un biglietto giustificativo, nonché un piccolo oggetto in grado di agevolare il riconoscimento in caso di richiesta di ricongiungimento. Fanno molta tenerezza questi piccoli monili, ma decisamente più geniali erano le immagini strappate in due parti uguali: una parte conservata dai genitori e l'altra invece dal brefotrofio.

Foto (compresa quella iniziale) tratte da
www.cittametropolitana.mi.it


Tuttavia, se l'Ottocento è stato il "secolo dei trovatelli", non bisogna immaginare che i periodi precedenti siano stati esenti da questo triste fenomeno. Si hanno notizie di bambini abbandonati sin dall'Impero Romano. Con l'avvento del cristianesimo i bambini esposti possono decisamente considerarsi più fortunati di quelli romani o greci. Nell'antica Roma infatti i trovatelli venivano cresciuti con un solo scopo: venderli ad un mercante di schiavi appena risultavano essere in forza per poter lavorare.

La pietà cristiana invece ha spinto la società ad occuparsi dei trovatelli sin dai tempi più antichi… e Milano anche in questo è risultata essere all'avanguardia. Pare infatti che il primo brefotrofio in Europa sia stato creato proprio della città di sant'Ambrogio. Il presbitero Dateo infatti istituì un orfanotrofio addirittura nel 787 nell'attuale via Silvio Pellico, a pochi passi dal Duomo. Venne chiamato Xenodochio e accanto ad esso fu edificata la chiesa di san Salvatore in Xenodochio. L'ondata demolitrice del Settecento si abbatté anche su queste due strutture…

Eppure la città non aveva accantonato la sua vocazione alla cura dei bambini abbandonati. Con l'istituzione della Ca' Granda nel 1456, Milano continuò ad occuparsi dei trovatelli. Tuttavia le condizioni igienico sanitarie in cui vivevano i bambini, costretti ad esempio a dormire a volte anche quattro per letto, spinsero gli illuminati Asburgo a trovare una soluzione più funzionale. Fu così che le monache del vicino monastero di santa Caterina alla ruota furono trasferite e lo spazio del loro edificio utilizzato appositamente per le partorienti e i trovatelli. Il nome "ruota" tuttavia potrebbe trarre in inganno: non fa infatti riferimento alla bussola degli esposti, ma al simbolo di santa Caterina stessa.

Chiostro interno del monastero.
Fonte: www.ioprimadite.com


Il monastero si trovava esattamente in via Francesco Sforza dove oggi si trova il Pronto Soccorso del Policlinico. Rimase operativo finché la competenza di questo brefotrofio, con l'Unità d'Italia, non passò alla Provincia di Milano, la quale decise di aprire un istituto decisamente più ampio in periferia. La piazza ad esso prospicente venne giustamente intitolata a Dateo e oggi non è altro che la sede della Città Metropolitana di Milano.

Fonte: Wikipedia


Eppure la Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti in santa Caterina alla ruota non era l'unica istituzione a occuparsi di bambini disagiati. Sul territorio milanese infatti sin dal XVI sec. molto fecero i Martinitt e le Stelline, i primi per gli ospiti maschili, mentre le seconde per quelle femminili. Ancora oggi esiste l'Azienda per i servizi alla persona Istituti Milanesi Martinitt e Stelline con valide offerte educative, in primis comunità per i minori (e qualche maggiorenne).

…Ma i bambini del monastero di santa Caterina alla Ruota, nonché quelli del brefotrofio di piazzale Dateo che in passato non tornavano più a casa che fine facevano?

Anche in questo caso erano comunque considerati una risorsa, tanto che venivano affidati a delle famiglie del contado lombardo, con il compito di crescerli, educarli e in tempi più recenti mandarli a scuola. In cambio, queste famiglie potevano contare su una mano in più per la propria economia domestica (molti erano i minori che venivano impiegati nei campi o nelle fabbriche). Inoltre l'Ospizio elargiva dei compensi economici sia ordinari che straordinari come quando il minore affidato risultava essere diligente a scuola. Infine negli ultimi due secoli, la ragazza che si accasava riceveva in regalo 100 Lire e una coperta di lana.

Dunque spesso i minori venivano considerati abbandonati in maniera definitiva, visto che nessuno li reclamava, e quindi anche il loro cognome non poteva essere quello dei suoi sconosciuti genitori naturali. In questo caso il trovatello avrebbe vissuto tutta la propria esistenza con uno dei cognomi più diffusi in Lombardia: Colombo, il quale proviene dall'insegna della Ca' Granda, ossia una colomba bianca quale simbolo dello Spirito Santo.

Fonte: www.fondazionesviluppocagranda.it


Oltre a Colombo però i bambini potevano ricevere altri cognomi più beneauguranti quali Di Dio, Diotisalvi, Diotiallevi …

In altre città italiane i cognomi più diffusi hanno anch'essi la stessa origine: è così che a Napoli ad esempio possiamo trovare molti Esposito, a Roma molti Proietti, mentre a Firenze molti Innocenti e così via.

Ruota degli esposti a Napoli
Fonte: www.napolimilionaria.it

Per fortuna ad oggi il fenomeno dell'abbandono è decisamente cambiato: si è passati da una media nazionale di 5000 bambini esposti all'anno degli anni cinquanta del Novecento a quella di 400 di questi ultimi tempi.

Ad oggi non esistono più le ruote degli esposti, ma moderne culle della vita perfettamente attrezzate di tutto il necessario per permettere al neonato di essere immediatamente accudito dal personale sanitario. Son collocate nei pressi degli ospedali e a Milano è possibile trovarla vicino all'ingresso della clinica Mangiagalli (https://www.mangiagalli.it/index.php/unita-operativa-tin/struttura-organizzativa/culla-per-la-vita). Finora ha ospitato due bebè temporaneamente chiamati Mario e Giovanni che, ne sono certo,  saranno stati adottati da altrettante famiglie accoglienti e amorevoli.


Infine pregevole è l'iniziativa dell'ospedale Niguarda denominata "Maternità fragili" (https://www.ospedaleniguarda.it/news/leggi/maternita-fragili-un-disagio-nascosto-per-il-quale-e-difficile-chiedere-aiuto) che si pone come obiettivo quello di accompagnare la coppia o la sola mamma durante la gestazione, nella delicata situazione di una gravidanza non desiderata. In questo caso, grazie ad un percorso psicologico e terapeutico, il/i genitore/i prenderà consapevolezza della soluzione che ritiene più idonea per sé e per il proprio bambino: interruzione, non riconoscimento o accettazione del nascituro…Il tutto nell'ottica di garantire serenità ai futuri cittadini di questa "Milano con il cuore in mano".

Fonte: www.donnad.it

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