mercoledì 6 novembre 2024

CRESCENZAGO CAPUT MUNDI

 

Crescenzago caput mundi?

Se è vero che il quartiere milanese non è la capitale italiana, è anche vero che qui…

L'uomo ha deciso di vivere sin dai tempi della preistoria, che da qui passava la via che metteva in collegamento Milano con Verona ai tempi degli antichi romani, che anche da qui si è iniziato a bonificare la Pianura Padana dopo la caduta dell’Impero nel 476 d.C., che in questo luogo si è deciso di far scorrere un’importante via di comunicazione d’acqua che mette in contatto Milano con l’Adda, che da qui si è fatta passare la via postale capace di unire Milano a Vienna ai tempi degli Asburgo, che qui si sono stati inventati i moderni coriandoli e stelle filanti, che qui possiamo trovare una delle vie più rappresentative per Milano e per l’Italia in quanto a mutamenti sociali. 

Insomma Crescenzago non sarà Roma, ma senz’altro ha molto da dire.


La moderna via Trasimeno riassume in sé la storia umana degli ultimi cinque millenni. Pare infatti che (anche) qui decise di vivere l'uomo a partire dal terzo millennio avanti Cristo. Nei pressi della Cascina Cattabrega sono stati trovati alcune tombe preistoriche risalenti all'età del Bronzo. La stessa area poi è diventata nel corso del tempo l'ennesimo appezzamento terreno coltivato e gestito dalla settecentesca Cascina la quale, nonostante sia stata abbandonata, ancora sopravvive ed ospita servizi per il tempo libero rivolti alla cittadinanza. Nel 1939 la rampante industria lombarda aveva bisogno di terreni e dunque la Magneti Marelli decise di utilizzare quelli adiacenti alla vicina via Adriano. Qui venne infatti impiantata la fabbrica che produceva candele per i motori delle automobili. Con il tempo le grandi fabbriche delle periferie milanesi sono state chiuse e, dove una volta lavoravano migliaia di operai, oggi possiamo trovare circa 18.000 tranquilli residenti che vivono in moderni torri condomini (quartiere Adriano). 

Ex fabbrica Magneti Marelli

"Il matitone": ex rifugio anti aereo della Magneti Marelli.
Poteva ospitare fino a mille dipendenti in caso di allarme


Dopo le testimonianze preistoriche, sicuramente un'altra forte traccia del passato è legata all'affascinante (seppur rifatta nella sua quasi totalità) s. Maria Rossa in Crescenzago (vedi post ottobre 2024). I locali canonici agostiniani ebbero il merito di risanare, nell'Alto Medioevo, le campagne circostanti, sfruttando anche la limpidezza del vicino fiume Lambro (fa sorridere e soffrire pensare a come siano peggiorate le sue acque). 

Santa Maria Rossa in Crescenzago

Fiume Lambro, il secondo più inquinato in Italia

La vicina Martesana fu una grande arteria commerciale, dato che in passato gli spostamenti di merci e persone avvenivano principalmente via acqua (soluzione decisamente più ecologica di quelle attuali). Lungo le sponde di questo canale artificiale inoltre sono sorte alcune grandi industrie, come la fabbrica dell'Ovomaltina, la quale produsse questo dolce alimento fino al 1944.

Ex fabbrica dell'Ovomaltina, attualmente occupata da Cargo, 
emporio di mobili

Tra i suoi dipendenti si annovera anche Primo Levi, quale ricercatore scientifico (il famoso scrittore era laureato in fisica). In quegli anni Levi scrisse una poesia intitolata proprio

                                                            Crescenzago  

Tu forse non l'avevi mai pensato,

Ma il sole sorge pure a Crescenzago.

Sorge, e guarda se mai vedesse un prato,

O una foresta, o una collina, o un lago;

E non li trova, e con il viso brutto

Pompa vapori dal Naviglio asciutto.

Dai monti il vento viene a gran carriera,

Libero corre l'infinito piano.

Ma quando scorge questa ciminiera

Ratto si volge e fugge via lontano,

Che il fumo è così nero e attossicato

Che il vento teme che gli mozzi il fiato.

Siedon le vecchie a consumare l'ore

E a numerar la pioggia quando cade.

I visi dei bambini hanno il colore 

Dalla polvere spenta delle strade,

E qui le donne non cantano mai,

Ma rauco e assiduo sibila il tranvai.

A Crescenzago ci sta una finestra,

E dietro una ragazza si scolora.

Ha sempre l'ago e il filo nella destra,

Cuce e rammenda e guarda sempre l'ora.

E quando fischia l'ora dell'uscita 

Sospira e piange, e questa è la sua vita.

Quando nell'alba suona la sirena

Strisciano fuor dai letti scarmigliati.

Scendono in strada con la bocca piena,

Gli occhi pesti e gli orecchi rintronati,

Gonfian le gomme della bicicletta

Ed accendono mezza sigaretta.

Da mane a sera fanno passeggiare

La nera torva schiacciasassi ansante,

O stanno tutto il giorno a sorvegliare 

La lancetta che trema sul quadrante.

Fanno l'amore di sabato sera

Nel fosso della casa cantoniera.


Dalla poesia di Primo Levi Crescenzago non ne esce decisamente bene; eppure i suoi abitanti possono vantarsi del fatto che qui sono stati inventati i moderni coriandoli e stelle filanti.

L'uso di far festa lanciandosi addosso degli oggetti è molto remota: pare che già nell'antica Roma si usassero una sorta di stelle filanti. 

Nel XVIII sec. si pensò saggiamente di sostituire le preziose mandorle con i semi di coriandolo per potersi divertire. Eppure questo divertimento presto degenerò: l'uso di "proiettili" composti da piccole pietre ricoperte di gesso difatti provocava svariati feriti.  Attorno al 1875 l'ingegnere Mangilli fu in grado di "salvare capre e cavoli" inventando lui per primo i coriandoli di carta. Questo imprenditore aveva una stamperia nell'attuale Villa Lecchi, nella quale produceva fogli bucherellati per l'allevamento dei bachi di seta. Quale miglior modo di utilizzare i cerchietti prodotti e destinati al macero, se non quello di usarli come coriandoli? La sua idea ebbe subito un successo nazionale, tanto che a ruota inventò le odierne stelle filanti riciclando i lunghi foglietti di carta utilizzati per inviare messaggi via telegrafo.

Villa Lecchi

Se Milano ad oggi ha una importanza di estrema rilevanza nella penisola italica, lo si deve anche alla sua posizione geografica strategica. Da piazza Duomo parte un tracciato che ci porta (attraverso il passo del Sempione) nel cuore di Parigi; nell'attuale piazza De Angeli si dipanano due antiche vie che portano in montagna (Piemonte) o al mare (Liguria); mentre da piazzale Loreto partiva l'ottocentesca via postale austriaca (oggi via Padova) capace di collegare direttamente il capoluogo lombardo con la capitale dell'impero asburgico, Vienna. 

L'antica strada postale ad oggi è sicuramente emblematica dei nostri tempi. Dire "via Padova" significa parlare di immigrazione con tutto ciò che esso implica. L'aspetto di questa lunga arteria talvolta si avvicina più a un quartiere magrebino che milanese: chi vi abita è in gran parte immigrato, soprattutto dai paesi arabi (fa specie girare la sera e accorgersi dell'assenza del gentil sesso tra chi popola queste vie). 

In via Padova si alternano costruzioni nuove a vecchie; alcuni angoli sono sicuramente belli e pittoreschi, ma senz'altro la manutenzione va migliorata. Emblematico è l'ultimo tratto di via Padova, quello nel territorio del vecchio Comune di Crescenzago, a due passi dal punto in cui la via diventa parallela della Martesana. Qui, in una infilata di costruzioni popolari e ottocentesche spicca un moderno condominio che fa a pugni con il contesto. Stesso discorso vale per la costruzione nella vicina via Meucci, angolo via Adriano.

Via Padova

Via Padova ha visto il nascere di una bella realtà interculturale: L'orchestra di via Padova. Nata nel 2006 (e scioltasi 8 anni dopo), questa band raggruppava 19 musicisti di ben 9 paesi diversi (Tunjà): perfetta fotografia della zona a nord est di Milano.


Il civico 275 di questa lunga via milanese viene ancora ricordata con l'appellativo "Curt de l'America".

Questa casa di ringhiera è anch'essa lo specchio della società milanese che cambia: era in origine popolata da operai milanesi, quindi famiglie meridionali, oggi ospita invece principalmente una comunità di immigrati egiziani.

Eppure se si è meritata questo originale appellativo una ragione c'è. Non esiste una spiegazione univoca e certa, ma pare che questo edificio fosse adibito ad ospitare a fine Ottocento italiani diretti in America. Possiamo immaginare che qui le famiglie potessero usufruire di affitti a breve durata, nell'attesa di poter partire per Genova alla volta degli tanto agognati Stati Uniti d'America. Nell'immediato secondo dopo guerra invece questa grande casa di ringhiera era quasi una realtà autarchica: gli abitanti potevano usufruire del prestinaio, ferramenta, parrucchiere e droghiere, tutti presenti nei locali che oggi occupano il pian terreno. I bambini scorrazzavano nel cortile e, quando faceva caldo, potevano uscire dall'ingresso secondario per fare direttamente un tuffo nella Martesana. Le madri trascorrevano il tempo libero a chiacchierare e solidarizzare sui ballatoi. Anche se gli appartamenti non avevano i comfort attuali, sembravano una vera e propria reggia rispetto a quelli dove poi i loro figli li hanno trasferiti. Appartamenti ricchi di tecnologie e solitudini.


Curt de l'America


Eppure fino all'avvento degli anni del "miracolo italiano", Crescenzago aveva decisamente un aspetto meno popolare dell'attuale. 

Nel XVIII sec. addirittura, vista la vicinanza con l'elegante corso d'acqua della Martesana, svariate famiglie scelsero le sue sponde per poter costruire la propria villa di delizie. Ancora oggi, nascoste tra la vegetazione, lungo la via Amalfi fanno mostra di sé bellissime palazzine che hanno permesso a questo quartiere di guadagnarsi l'appellativo di "Riviera di Crescenzago". Palazzine precedute dall'ex municipio che ha perso la sua funzione, dal momento in cui Crescenzago non è più comune autonomo (1923).

Riviera di Crescenzago

Come già visto, ad oggi Crescenzago è un popoloso quartiere multietnico, ma fino alla Seconda Guerra Mondiale manteneva la sua identità di "paese" alle porte di Milano. Sarà per questa sua caratteristica che gli abitanti a un certo punto (siamo nella seconda metà dell'Ottocento) iniziarono a mormorare che una di queste palazzine fosse abitata da una inquilina davvero speciale: l'amante di Vittorio Emanuele II. Quest'ultimo pare abbia fatto un gradito dono alla "propria innamorata", ma ad oggi non ci è dato sapere purtroppo quale fosse l'abitazione e chi fosse la prescelta del re. 


La storia passionale del primo re di Italia un po' stride con quella di don Enrico Bigatti, vice parroco di santa Maria Rossa ai tempi dell'ultimo conflitto mondiale. Il sacerdote infatti, a due passi dalla Riviera di Crescenzago, ha dimostrato un'audacia e una fede davvero eccezionali. Ne parlo in questo racconto che ho scritto con sincera passione: Il coraggio.

Affresco della Madonna della Liberazione
commissionato da don Enrico


La Pianura Padana, fino alla Seconda Guerra Mondiale, era caratterizzata da svariati borghi prettamente agricoli che curavano la campagna circostante. Anche Milano, nonostante i tentativi di ingrandirla nel 1923, si presentava con un panorama edile non continuativo: molte erano infatti le zone agricole all'interno dei propri confini. Crescenzago in questo non faceva eccezione, dato che presentava svariate zone verdi attorno al suo antico abitato. Antico abitato che è possibile vivere soprattutto nell'attuale via san Mamete, ormai in gran parte assorbito dalle abitazioni moderne circostanti.

La gatta Wilma ti dà il benvenuto in via san Mamete!

Questa via prende il nome da una piccola chiesa ancora presente e raramente visitabile al suo interno. Fa specie pensare che qui, a partire dal 1576, avremmo trovato il Lazzaretto di Crescenzago: le case antiche e ora ristrutturate attorno all'oratorio ospitavano i tanti ammalati delle numerose epidemie cha hanno interessato questo antico paese.

Oratorio di san Mamete

Ma ancora più curiosa è la storia del cantiere che ad oggi sorge davanti al piccola chiesa. Questo era un'antica cascina poi abbandonata e oggi, ahimè, abbattuta. Al proprio interno, a seguito dell'immigrazione di massa, a fine anni Ottanta venne predisposta una chiesa per accogliere i tanti fedeli che qui erano venuti ad abitare dalle altre regioni di Italia. L'oratorio di san Mamete infatti a quel punto risultava essere troppo piccolo; per questa ragione fu sfruttata l'ex stalla della cascina, dando origine a quella che gli abitanti della zona ribattezzarono "cattedrale stalla".

"Cattedrale stalla"


Per fortuna poi nel 1997 venne edificata una chiesa capace di accogliere i tanti fedeli che nel frattempo erano venuti ad abitare anche nel nuovo quartiere Adriano.

La parrocchia prende il nome di Gesù a Nazareth (via Trasimeno, 53) e esternamente appare come una delle tante chiese moderne dalle forme originali. Eppure è al suo interno che è in grado di esprimere il massimo della sua potenzialità, in quanto a bellezza. La struttura è molto luminosa e da' asilo a svariate opere moderne davvero speciali; in particolar modo meritano una visita i quadri della Via Crucis di Letizia Fornasieri; in queste opere Gesù vive le tappe del proprio martirio in un contesto metropolitano moderno il quale ricorda molto il quartiere che ospita la chiesa. Davvero emozionante!

Opera di Letizia Fornasieri


Nella verace via san Mamete è possibile trovare una locanda storica: la Trattoria dell'Ombra, chiamata così perché anticamente al suo interno gli abitanti trovavano ristoro all'ombra di due grossi tigli che ad oggi non esistono più. Ancora ai giorni nostri gli anziani di questo quartiere raccontano degli odiosi soldati nazisti, i quali si recavano in bicicletta in trattoria durante l'ultimo conflitto mondiale. I tedeschi però, consapevoli dei sentimenti nei loro confronti, per sicurezza, prima di entrare pensavano bene di staccare il manubrio e portarlo con sé, onde evitare furti e risatine sotto i baffi.

Trattoria dell'ombra


Solo a Crescenzago, via Padova e la Martesana scorrono parallele; al termine di questo quartiere infatti l'antica via postale austriaca si dirama in una serie di grandi arterie che abbandonano il Comune di Milano. La placida Martesana in compenso prosegue il suo tortuoso percorso affiancata da un'altra strada che merita una curiosa passeggiata: via Idro. Qui per fortuna il panorama non si è ancora imborghesito. La pista ciclopedonale meriterebbe una risistemata e lungo entrambe le sponde del corso d’acqua si alternano zone incolte, natura selvaggia, capannoni industriali abbandonati, qualche villa moderna e una cascina ormai in completo disfacimento (cascina Lambro).

Mi chiedo quando il mondo della movida si accorgerà di questo angolo prezioso di Milano… 

La Cascina Lambro si trova a pochi metri dal punto in cui la Martesana interseca il Lambro; quest’ultimo passa sotto l’alveo del canale artificiale. In passato l’affittuario aveva il compito di regolare l’afflusso dell’acqua dei due corsi: quando la Martesana era troppo gonfia d’acqua faceva in modo che parte di questa affluisse nel Lambro e viceversa.

Cascina Lambro
Foto tratta da www.riaprireinavigli.it


Al principio della via Idro c'era una frazione dell'ex comune di Crescenzago: frazione Tre Case. Ancora oggi fanno mostra di sé due case antiche (chissà che fine avrà fatto la terza…), una delle quali è occupata da un ristorante: la Trattoria Novelli. In questo locale storico vennero girate alcune scene del film "Mani di velluto", con Adriano Celentano.

"Mani di velluto"


Ultimo avamposto del Comune di Milano è la famigerata Cascina Gobba diventata famosa poiché ha prestato il suo toponimo a una importante stazione della metropolitana.

Sull'origine del suo nome sono state fatte molte ipotesi, ma sicuramente quella più curiosa vede l'affittuario vissuto nel XVI sec. (tale Cristoforo De Magistris), essere ricordato per avere "drio la schena un montesel" (per citare la celebre canzone trentina "I gobbetti"). 


Ma prima di salutare Crescenzago, prima di salutare Milano e proseguire il nostro virtuale cammino verso Sesto san Giovanni o Vimodrone o Cologno Monzese (a seconda delle strade intraprese), vale la pena chiedersi qual è l'etimologia di Crescenzago.

Il suo nome testimonia il fatto che in origine era molto probabilmente di proprietà di un certo Crescenzio, veterano romano, il quale venne ricompensato con un appezzamento terreno alle porte di Mediolanum. L'elemento curioso del suo toponimo è sicuramente il suffisso "ago" di origine celtica che stride invece con il nome proprio in latino.

Insomma già dal nome Crescenzago era predestinata ad essere una zona di incroci culturali e le tante facce esotiche che oggi popolano le sue vie non fanno altro che portare avanti in maniera forte e innovativa questa antica tradizione.

Benvenuti a Milano, benvenuti a Crescenzago caput mundi!






Farmacia presente nel Quartiere Adriano; in origine era in via Manzoni.
Ancora oggi prescrive farmaci con pesi e misure inglesi
Foto di Marino De Stena


In via Del Ricordo, 45 esiste ancora il cimitero di Crescenzago
abbandonato negli anni Sessanta
Foto tratta da www.milanotoday.it


Via san Mamete come si presentava
nei primi anni Ottanta


Chiesa Gesù a Nazareth


"I due bulli di Crescenzago"

mercoledì 2 ottobre 2024

Le Tre Marie milanesi

Chiesa santa Maria Rossa in Crescenzago


Sin dalle prime comunità cristiane, il culto mariano ha avuto sicuramente un ruolo primario. 

Maria (Miriam per i conterranei di Gesù) è sempre stata amata dai fedeli, in particolar modo dagli abitanti dello Stivale, notoriamente attaccati alla figura materna. Dunque non deve stupire se in Italia quasi 10.000 chiese siano dedicate alla Madonna. 

Milano in questo non fa di certo eccezione. Eppure, quando tre chiese vicine portano tutte lo stesso nome, allora nasce l’esigenza di distinguerle. E quale modo migliore se non ricorrere ai colori? Ecco dunque che nella zona nord-est del capoluogo lombardo sorgono la chiesa di Santa Maria la Rossa, Santa Maria la Nera e Santa Maria la Bianca. 

Squisita è l’origine del nome di Santa Maria Bianca in Casoretto. Una delle tracce più antiche all’interno di questa chiesa del XV secolo è un adorabile affresco di una Madonna di bianco vestita. “Santa Maria Nera” (il suo vero nome però è chiesa del Santissimo Redentore) deve il suo nome, molto più prosaicamente, a una statua Mariana nera, nera come quella che è possibile trovare nel santuario di Loreto, nelle Marche.

Vergine Bianca della Misericordia di Casoretto

Quella più affascinante, almeno a mio avviso, è Santa Maria Rossa in Crescenzago, da non confondere con Santa Maria Rossa alla Fonte (sul Naviglio Pavese) e Santa Maria Rossa in Monzoro. 

Quando si è pensato al colore rosso per soprannominare la chiesa, di sicuro non si è fatto un grande sforzo di fantasia: il romanico lombardo si avvale del materiale più abbondante in zona, ossia mattoni rossi fatti con l'argilla. 

S,ta Maria Rossa in Crescenzago, interni

In quel di Crescenzago c’era nel X sec., una cappella dedicata alla Vergine. Nel XII sec. è stata trasformata in una canonica retta dagli agostiniani, i quali vivevano nell'edificio prospiciente la chiesa.

Esattamente un secolo fa si è deciso di effettuare dei restauri pesanti all'edificio religioso, il quale oggi brilla per armonia e bellezza, ma poca originalità. Molti elementi interni e esterni infatti sono solo apparentemente antichi. In primis il pulpito in pietra con i suoi gatti buffi.

Pulpito, dettaglio

Originale invece è la piccola lapide marmorea all'ingresso (ormai illeggibile) che recita Nel castissimo tempio delle Vergine, bisogna essere casti.

La facciata riporta, come decorazione, degli elementi decorativi giallo verdi. Per la loro forma convessa possono ricordare delle scodelle, forse a ricordo del fatto che anticamente i pellegrini potevano trovare rifugio (e un piatto di zuppa calda nei giorni invernali) nel convento degli agostiniani.

Dettaglio della facciata

L'ex convento ad oggi spicca grazie al suo aspetto esterno per metà ruspante e per metà elegante. Nel 1772 è stato soppresso e poco dopo rilevato dall'agronomo Domenico Berra, il quale lo ha trasformato in una cascina. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale Crescenzago era diventato un quartiere popoloso e decisamente poco agricolo. Per questa ragione nel 1980 Casa Berra (l'ex convento agostiniano) è stata trasformata in un condominio… e che condominio! L'edificio è molto elegante anche grazie alle tracce del passato che si mischiano a quelle contemporanee. A partire dal 2019 infatti opera l' Associazione Culturale Casa Berra che permette al condominio di brillare di originalità (oltre che di bellezza): i suoi spazi ospitano opere artistiche contemporanee. Così è davvero emozionante passeggiare nei cortili interni del palazzo, tra opere enigmatiche, rondini che ti sfiorano la testa, paciosi gatti domestici e bambini che donano gioia a ciò che rischiava di essere completamente abbandonato (e magari trasformato in un moderno condominio a due passi dalla metropolitana)! 

Casa Berra

Casa Berra, cortile interno

Casa Berra, interni


Altra testimonianza antica sopravvissuta tra palazzoni moderni è la chiesa di santa Maria Bianca della Misericordia, nel quartiere Casoretto. 

Santa Maria Bianca della Misericordia in Casoretto

La chiesa e l'abbazia sono del XV sec. (anche se la facciata è stata rifatta nel 1927 seguendo un gusto rinascimentale) e ospitavano i canonici lateranensi. Fa impressione vedere le immagini di fine Ottocento e accorgersi di quanto sia stato recentemente fatto per riportare gli ambienti dell'antica abbazia a un aspetto, se non del tutto originale, almeno ordinato e armonico. Ambienti che oggi ospitano servizi per disabili (dove a lungo ho lavorato). 

Chiesa e abbazia, 1899

La retrostante via Mancinelli è diventata tristemente famosa in seguito all'attentato a Fausto e Iaio: due ragazzi di sinistra assassinati da coetanei di destra durante i famigerati Anni di Piombo (agguato avvenuto il 18 marzo 1978).

Graffito in via Mancinelli


Piazzale Loreto è conosciuta in tutto il mondo per alcuni episodi legati alla Resistenza e ad oggi è sicuramente ricordata per essere una importante stazione della metropolitana.

Eppure non tutti sanno che, se questo luogo milanese si chiama così, lo si deve ad una statua alloggiata in una chiesa, non più esistente, a due passi dall'odierno piazzale.

Statua posta nella prima cappella navata sinistra,
chiesa del Santissimo Redentore 

La statua inizialmente era nera (da qui il soprannome di santa Maria la Nera dato all'ex chiesa ospitante) poiché creata come quella originale a Loreto. Con il tempo però è stata ridipinta con colori molto più nostrani.

In origine la struttura religiosa, con al suo interno la statua, si trovava nell'attuale piazza Argentina; aveva dimensioni enormi, si chiamava Monastero di santa Maria di Loreto fuori Porta Orientale e venne inaugurato nel 1641. La sua edificazione fu lunga e articolata; eppure sopravvisse solo 140 anni, dato che poi venne soppressa dal solito Giuseppe II d'Asburgo.

Solo nel 1900 il popoloso quartiere di corso Buenos Aires ha potuto avere una parrocchia tutta sua; in quell'anno infatti è stata inaugurata la chiesa del Santissimo Redentore nella vicina via Giovanni da Palestrina.

Chiesa del Santissimo Redentore

Quest'ultima chiesa è luogo di opere d'arte che fanno parlare di sé. Sull'altare maggiore infatti spicca una ottocentesca statua di Gesù Redentore, la quale si presenta con mani posizionate in maniera decisamente strana. E' ormai appurato che in origine impugnava una grande croce lignea, poi rimossa per volere dei sacerdoti di questa parrocchia.

Svelato il mistero.

Statua di Gesù Redentore



A Casa Berra anche una finestra rotta
può diventare arte




Casa Berra





Sala Capitolare in Casoretto 
con affreschi raffiguranti i santi Carlo e Federico Borromeo






















mercoledì 17 luglio 2024

LA SPOSINA



Quante volte  i turisti giunti a Milano si sono sorpresi a guardare il Duomo con un sorriso beato sulle labbra? Quante volte i milanesi si sono sentiti rassicurati dalla visione della sua mole in mezzo al paesaggio urbano?

Eppure non sempre la cattedrale milanese è stata in grado di regalare sensazioni positive a chi la vive.

Di certo contenta non la si poteva definire Carlina, novella sposa in viaggio di nozze a Milano in un passato alquanto indefinito.

La ragazza  e il suo Renzino erano giunti nel capoluogo lombardo dalla vicina Schignano, piccolo paese in provincia di Como, a due passi dal confine svizzero.

Ancora oggi questa minuscola località alpina non è meta di turismo, né tanto meno lo era ai tempi di Carlina. Eppure, forse per lavoro, forse dalla vicina Svizzera tedesca, arrivò un giovane straniero.

Alto o basso, affascinante o anonimo, non c'è dato sapere com'era. Una cosa però la conosciamo: il ragazzo era biondissimo e dunque il bambino che Carlina portava in grembo poteva aver preso da lui.

Era questo il principale pensiero della giovane sposa: se avesse preso da lei sarebbe stato un attimo dire che il piccolo era figlio di Renzino e aveva deciso di venire al mondo prematuramente. Ma se invece fosse stato biondissimo come il suo vero papà??

I due sposi erano arrivati a Milano a fine ottobre e ad accoglierli avevano trovato una fitta nebbia. Eppure, nonostante questo, Renzino aveva proposto alla sua dolce metà di salire sulle terrazze del Duomo.

Qui Carlina, presa dai suoi angoscianti pensieri, complice la nebbia e la visione di tutte quelle statue mostruose che popolano la cattedrale milanese, d'un tratto prese la rincorsa per fare un disperato salto verso il vuoto.

Atroce risuonò il grido di Renzino in mezzo a tutto quel silenzio lattiginoso. 

Sembravano essere le uniche due persone in giro per Milano quel pomeriggio autunnale, invece, in seguito al disperato urlo, si materializzarono tante figure che incominciarono a interessarsi alla situazione.

Tutti si misero alla ricerca del corpo della povera Carlina e tutti rimasero sorpresi nel non trovarlo.

Eppure, se ancora oggi non esiste una tomba della sposina sulla quale portare un pietoso fiore, esiste invece lo spirito di Carlina, la quale si materializza ogni qual volta una coppia in viaggio di nozze si fa ritrarre sorridente davanti alla bianca facciata del Duomo.

Così, se nelle foto compare anche una donna di nero vestita, con lo sguardo triste, quella donna non è una semplice milanese di passaggio, ma Carlina che, con massima sincerità, augura alla coppia una vita matrimoniale più felice della sua.

Questa è la triste storia di Carlina, moglie solo per due giorni, madre forse per un mese, ma sposina per l'eternità. 


domenica 2 giugno 2024

Non sei nessuno se non possiedi un palchetto alla SCALA



Non sono un melomane e non conosco il mondo dell'opera, balletto e musica classica, ma sono un estimatore di Milano e la Scala è MILANO.

Teatro dai tanti aspetti curiosi, la Scala è in grado di donare soddisfazione non solo a chi di musica colta vivrebbe, ma anche a chi desidera sorridere della città e con la città.

Si racconta che la notte di carnevale del 1776 il Teatro Ducale prese fuoco. Niente di più strano per l'epoca: questi luoghi infatti erano rischiarati con le torce e riscaldati coi bracieri. Dunque il legno, che rappresentava il materiale principe dei teatri, spesso si infiammava (e con esso… gli spettatori).

Eppure quella volta iniziò a girare voce che l'incendio fosse stato doloso. L'arciduca Ferdinando, governatore di Milano, venne infatti a scoprire che sua moglie Maria Beatrice d'Este aveva una tresca con tale Giacomo Sannazzari e quella sera si sarebbero incontrati di nascosto a teatro. Terminati i festeggiamenti, due servi del governatore, su mandato di quest'ultimo, intercettarono il Sannazzari, lo malmenarono e lo legarono a una sedia. Mentre la città dormiva dopo i bagordi del Carnevale, i due servi appiccarono il fuoco al luogo dell'incontro clandestino… e "tanti cari saluti a Giacomo".                                                                                                                    Peccato che quest'ultimo, la mattina dopo, girava indisturbato per Milano. La sera di Carnevale volle infatti ricambiare il favore a un suo caro amico: gli permise di incontrare la nobil donna al posto suo. I due "mattacchioni" erano convinti, a ragione, che Maria Beatrice non si sarebbe accorta dello scambio di persona, complice la penombra del teatro, la maschera carnevalesca e magari qualche bicchiere di troppo...Quando si dice "nascere con la camicia"!

Leggenda o verità che fosse (all'epoca Milano contava solo 100.000 abitanti circa e le leggende metropolitane nascevano con maggior facilità rispetto ad oggi) sta di fatti che la nobiltà milanese rimase priva del loro maggior passatempo. Dunque subito iniziarono a reclamare un nuovo teatro e l'imperatrice Maria Teresa d'Austria ci impiegò poco a trovare il nuovo luogo dove poterlo edificare: al posto dell'ennesima chiesa.

I conventi (e più in generale le strutture religiose) in quel periodo non attraversavano un momento sereno, vuoi per l'ideologia Illuminista oppure per un tornaconto economico. Appena c'era l'occasione venivano requisiti dall'autorità politica per poi abbatterli, al fine di costruire nuovi edifici.

Presso la contrada Margherita c'era dunque un'antica chiesa: santa Maria della Scala, chiamata così perché fatta edificare nel XIV sec. per volere di Regina della Scala, figlia del sovrano veronese, nonché moglie del crudele signore milanese Bernabò Visconti.


Nel 1776 a ricevere l'incarico fu nientedimeno che l'architetto di corte: Giuseppe Piermarini il quale, visti i precedenti, scelse di edificarla usando meno legno possibile.

"Il tempio della lirica" fu edificato in soli due anni, lo stesso tempo impiegato per l'ammodernamento del 2004 (con tanto di mezzi tecnologici attuali).

Vent'anni fa la Scala è stata infatti riammodernata in forme forse un po' sgraziate ma funzionali.

La torre scenica (quella poligonale) permette di preparare contemporaneamente svariate  scenografie utilizzabili poi durante gli spettacoli. Il corpo di fabbrica ellittico invece ospita locali di servizio (es camerini, locali per le prove…) ed è talmente grande da permettere, volendo, a un camion di entrare per scaricare del materiale.


Ma il teatro non ha subito solo questo restauro. Nel 1945 infatti fu riedificato nella quasi totalità poiché precedentemente centrato da una bomba alleata durante la Seconda Guerra Mondiale.


Fu l'inaugurazione un momento molto toccante per tutti i milanesi: la ripresa dell'attività scaligera significava infatti che la città stava rinascendo e si stava scrollando di dosso le macerie della guerra.

A dirigere "Il concerto della ricostruzione" fu il burbero Arturo Toscanini il quale fu autore di tante innovazioni nei teatri di tutto il mondo, proprio a partire dalla Scala. Innanzi tutto il tendone doveva aprirsi centralmente (e non più dal basso verso l'alto); le luci in platea dovevano essere rigorosamente spente; chi arrivava in ritardo a teatro non poteva più entrare; vietati i cappelli in platea per le signore; le tendine davanti ai palchetti non potevano più essere chiuse durante lo spettacolo. Insomma a teatro bisognava andarci per lo spettacolo e basta!

Arturo Toscanini

Per gli esseri umani del XXI sec. può apparire scontato questo concetto, ma così non era per la società milanese di inizio Novecento.

A teatro infatti gli aristocratici andavano più che altro per "fare passerella". La Scala era il luogo più mondano della città e a teatro si andava per (nell'ordine) essere presente, spettegolare, fare incontri di vario tipo, mangiare (magari in compagnia), giocare d'azzardo e infine assistere ad uno spettacolo.


Ancora oggi, ad esempio alla Prima del 7 dicembre, gran parte del pubblico non è composto da intenditori di musica, bensì da mondani. I veri appassionati sono i loggionisti, ossia chi gode dello spettacolo dal loggione (i due ultimi piani del teatro), mentre i palchettisti amano farsi vedere più che vedere. Non è un caso che gli artisti, a fine spettacolo rivolgono subito lo sguardo verso l'alto. La loro fortuna infatti è spesso legata all'approvazione o meno dei loggionisti (Amici del loggione), i quali sanno essere nei loro giudizi spesso spietati. Se hanno apprezzato l'applauso può durare un tempo infinito (il caso più eclatante fu alla Deutsche Oper di Berlino: un'ora e sette minuti!...I melomani conoscono tecniche per battere le mani senza danneggiarle), ma se qualcosa non è stato di loro gradimento allora le reazioni possono sembrare fuori luogo in un ambiente così elegante e raffinato.

Ma torniamo al passato: i palchetti erano dunque luogo di incontri. Ognuno, prima del bombardamento del 1943, portava sul parapetto lo stemma famigliare poiché erano di proprietà della nobile famiglia milanese di turno.

In passato si diceva che "non sei nessuno se la tua famiglia non possiede un palchetto alla Scala, una panca in Duomo e una tomba al Monumentale". 

A teatro il nobiluomo di turno giungeva nel suo palchetto scortato dalla servitù, la quale doveva attendere di essere chiamata in qualunque momento stando seduta su delle sedie in platea. Quest'ultimo ambiente aveva dunque sedute mobili poiché potevano essere prontamente spostate in caso di balli da parte dei milanesi, gare di scherma, spettacoli circensi.

La servitù aveva inoltre il compito di scaldare il cibo portato da casa con dei bracieri che si trovavano in ambienti utilizzati come piccole cucine private. Ad oggi questi locali servono come guardaroba per gli spettatori che occupano il palchetto durante lo spettacolo. 

Attuali guardaroba dei palchetti

All'interno del teatro c'era una vera e propria gerarchia sociale: più il tuo spazio era in basso, vicino al Palco Reale e più contavi. Più era centrale e più eri degno di considerazione.

Foto tratta da dejavublog.it

Ogni palchetto era inoltre dotato di specchi alle pareti per permettere di guardare meglio il palcoscenico...ma soprattutto per spiare ciò che accadeva nei palchetti vicini. Dopo i danneggiamenti della guerra è rimasto un solo palchetto ad essere munito di specchi (numero 13).

Foto tratta da 
www.michelangelobuonarrotietornato.com

Il proprietario di questo nobile spazio aveva la facoltà di accedervi anche prima e dopo gli spettacoli. A performance in corso era assolutamente normale tirare la tendina del proprio palchetto per avere...maggiore intimità.

Insomma che la Scala fosse luogo di spettacoli sembrava quasi essere di secondaria importanza. Questo teatro era infatti molto frequentato per il gioco d'azzardo: nel ridotto Toscanini infatti era abitudine fino al 1815 giocare fino alle due di notte e scommettere a volte anche grandi cifre (ne sapeva qualcosa "l'integerrimo" Alessandro Manzoni). In tutta la città infatti il gioco d'azzardo venne vietato nel 1788, tranne che nei teatri cittadini. Il giro d'affari era talmente alto da permettere al biscazziere Gaetano Belloni di commissionare una casa in corso Venezia: Palazzo Rocca Saporiti (1812), uno dei più belli e lussuosi di tutta la città.

Palazzo Rocca Saporiti

Ad oggi la Scala è uno dei teatri lirici più importanti al mondo. Qui si viene per ascoltare "musica colta" (unica eccezione: il concerto di Paolo Conte tenutosi il 19 febbraio 2023)...se si riesce a trovare il biglietto.

L'acustica di questo odeon è sempre stata considerata una delle migliori al mondo, grazie alle trovate del suo geniale architetto: Giuseppe Piermarini.

Quest'ultimo, nel progetto aveva anche ipotizzato uno spazio attiguo al teatro e di pertinenza solo della famiglia del governatore: il Casino Reale. Qui la nobile casata avrebbe potuto tenere ricevimenti e balli privati. Tuttavia solo nel 1841 fu effettivamente costruito, con accesso da via dei Filodrammatici.

Nel secondo dopoguerra in questi spazi fu creato un teatro più piccolo (di soli 350 posti, a fronte degli attuali 2007 della sala principale): la Piccola Scala, atta ad ospitare spettacoli minori, demolita poi con la ristrutturazione del 2004.

La Piccola Scala

Accanto alla Scala, seppur con dimensioni più modeste, è possibile notare il Casino Ricordi, chiamato così perché affittato appunto dalla famiglia Ricordi (storici editori milanesi) per ospitare i membri della Nobile Associazione dei Palchettisti. A partire dal 1913 invece le sue neoclassiche sale ospitano il Museo della Scala (Museo della Scala).

Casino Ricordi (corpo di fabbrica a sinistra dell'ingresso del teatro)
Foto di Jakub Halun 

Insomma, se non vuoi essere considerato un "giargiana" ma un buon milanese devi essere stato almeno una volta al Teatro alla Scala (ed io ci sono andato...per vedere un film!).


In primo piano la Galleria delle Carrozze
che permetteva ai palchettisti di giungere a teatro senza bagnarsi
in caso di pioggia poiché qui potevano sostare i nobili cocchi


Il Palco Reale fu temporaneamente sostituito ai tempi di Napoleone
con cinque palchetti "più ugualitari".
Fonte fotografia: www.danzaeffebi.com


La coppa del lampadario è talmente grande
che ospita due addetti all'illuminazione del palco.
Foto tratta da www.sapere.it