Quante volte gli adulti vorrebbero tornare indietro per avere più tempo per studiare… E' quel che succede puntualmente a me: da studente non apprezzavo molto lo studio e ora che non sono tenuto a farlo, che non ho tempo, rimpiango quando ero tenuto a farlo.
Sì perché studiare è un po' come fare lo speleologo: più scavi e più trovi; più trovi e più non vuoi fermarti.
Ecco che un post che credevo semplice mi ha aperto un mondo, tra l'altro vicino a casa. Il post sulla toponomastica milanese mi ha spinto infatti ad avere nozioni su un quartiere che già conoscevo (a quanto pare non abbastanza): Baggio, periferia sud ovest di Milano.
"Qui una volta era tutta campagna". Questa frase fatta si addice benissimo a via Berna e paraggi. Eppure lungo la parallela via Forze Armate nel 1931 venne edificato l'ospedale Militare di Baggio, nosocomio talmente esteso da raggiungere anche quella porzione di contado urbano poi chiamata via Berna. L'ospedale militare, che ospitò anche il geniale soldato Gianni Rodari, a un certo punto, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne requisito dai tedeschi. Dunque i militari italiani vennero curati presso i padiglioni che oggi troviamo in piazza Bande Nere, attuale sede dell'ATS.
Ospedale Militare. Fonte: Wikipedia |
Interessante è conoscere la storia di quest'ultimo edificio: nacque nel 1922 come Ricovero di Mendicità. Di quegli anni infatti era la legge che vietava l'accattonaggio, pena l'istituzionalizzazione presso strutture come quello di piazza Bande Nere. Con il passare del tempo tuttavia gli ospiti anziani ricoverati spontaneamente aumentarono, tanto da far mutare il nome alla struttura nel 1966 in Istituto Golgi Redaelli. Questa rinomata RSA lombarda nel 1990 si è spostata nella vicina via D'Alviano, lasciando quindi spazio agli uffici dell'ATS.
Sede uffici ATS p.za Bande Nere Foto di Sonia Costanzo |
Eppure l'ospedale militare in città non è sempre stato a Baggio; con Napoleone trovò spazio nell'antico convento benedettino di sant'Ambrogio, oggi sede dell'Università Cattolica. Qui venne ricoverato il soldato Ugo Foscolo, ferito durante una campagna militare napoleonica e operò il futuro papa Giovanni XXII, quale sanitario militare.
Un giovane futuro Papa Giovanni XXIII militare. Fonte: www.avvenire.it |
Particolare decisamente curioso e degno di questo blog è la rientranza che troviamo nel muro di cinta dell'ospedale militare in via Berna. Qui infatti si trovava un portone che si apriva ogniqualvolta giungeva un treno dalla vicina stazione di san Cristoforo. Lungo la via Angelo Inganni e poi via Berna infatti erano stati costruiti dei binari che permettevano ai feriti della Seconda Guerra Mondiale di essere rapidamente trasportati al nosocomio di Baggio.
Ospedale militare |
Eppure la curiosità principale di via Berna era sicuramente il Villaggio Svizzero.
Al posto dell'attuale Parco Moravia infatti si trovava, nell'immediato secondo dopoguerra, un villaggio costituito da 40 casette tri famigliari di legno, gentilmente offerte dalla vicina Svizzera. I nostri neutrali vicini si erano fatti impietosire dalle condizioni in cui versava Milano subito dopo la fine della guerra. Mediamente un edificio su quattro era stato bombardato e tantissimi erano gli sfollati. Cinquecento di questi senza tetto trovarono asilo proprio in queste strutture gioiosamente dipinte di arancione con infissi verdi. Oltre alle case, c'era anche una chiesa, un emporio e una scuola materna. L'inaugurazione avvenne il 20 luglio del 1946 e gran parte di esse vennero abbattute verso la fine degli anni Cinquanta. In questo periodo infatti gli sfollati trovarono alloggio nei tanti appartamenti dei moderni condomini sorti in zona.
La zona infatti nel tempo è decisamente cambiata e... "là dove c'era l'erba ora c'è una città". Così il Comune ha deciso di intitolare le vie qui attorno ad alcune città svizzere (Zurigo, Lucerna, Basilea) quale forma di ringraziamento.
Eppure il Villaggio Svizzero non era l'unico: Milano ospitava tanti alloggi temporanei per gli sfollati.
Per quanto riguarda i profughi giuliani non ci è dato sapere se questi vennero ospitati in una struttura temporanea o definitiva (e dunque ancora esistente) nella prossima via degli Astri.
Ma decisamente più curioso e comunque attuale era il Villaggio Finlandese nella vicina via Primaticcio.
Per conoscere la sua storia dobbiamo ringraziare Diego Abatantuono che qui è cresciuto nella casa dei suoi nonni paterni.
Nell'autobiografia ("Eccezzziunale veramente", 1997) racconta:
Nell'immediato dopoguerra, una decina d'anni prima che io venissi al mondo, il Comune di Milano fa un gemellaggio con una città del Nord Europa. Noi costruiamo delle case là, nella tundra, e i finlandesi ci regalano delle abitazioni prefabbricate da collocare in città.
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Alcune erano in muratura, e cioè quasi normali (mio nonno abitava in una di queste). Altre sembravano degli chalet o delle baite,
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Ma forse questi nordeuropei con il cuore in mano volevano fare soltanto un'azione simbolica, certi che queste casette sarebbero durate, come assicurato dai nostri amministratori, soltanto pochi anni per poi essere sostituite da case "classiche". Per ingentilire ulteriormente l'operazione, al quartierino dove furono "appoggiate" queste case regalo venne appioppata una topografia dai nomi floreali: via degli Oleandri, dei Gigli, delle Ortensie, delle Viole, dei Mughetti
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Morale: quelle case che dovevano durare un lustro esistono ancora adesso. Quelle di legno no, invece di cinque anni ne resistettero solo trentacinque.
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Giorno dopo giorno le famiglie che ci abitavano dentro si ingrandivano, si gonfiavano come si gonfiavano le pareti di legno con l'umidità, e si adattavano. Ogni inverno con le piogge e l'umidità il legno marciva, d'estate tutto si seccava e ogni settimana andava a fuoco una casa. Ma la gente dentro non voleva cambiare rione, e quando il Comune, dopo più di tre decenni, decise finalmente di abbatterle, gli abitanti si ribellarono. Popolazione strana, in quelle vie; gente, per usare un eufemismo, abbastanza "vivace".
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Degli amici della mia compagnia di infanzia un po' sono morti, un altro po' sono o in galera o in comunità. Un gruppo ce l'ha fatta. Il clima era tosto. Per tornare al discorso delle case arriva il momento in cui il Comune decide di ascoltare le lamentele di quelli a cui marcivano gli chalet. Un giorno arrivano con delle ruspe e incominciano a costruire i nuovi alloggi (condomini di via delle Gardenie). Si trattava, secondo il piano di fare rientrare poi queste persone nelle nuove abitazioni, costruite seguendo moderni criteri. L'avevano fatte proprio lì negli stessi posti, così che la gente non perdesse le proprie amicizie, le proprie abitudini e il lavoro quando c'era. A un certo punto, però una volta costruite queste case, si accorgono che gli sono venute un po' troppo bene per i poveracci che devono entrarci e che la periferia non è poi così più estrema, allora decidono: "no, no, adesso voi andate tutti a Quarto Oggiaro e noi qui dentro mettiamo…" minchia, a questo punto i vivaci abitanti delle case di legno giustamente si ribellarono in maniera molto vigorosa, dimostrando che certe volte qualche risultato, non subendo passivamente, si può ottenere. Occuparono le case nuove. Arrivò la polizia e, constatato la difficile situazione, se ne tornò da dove era venuta. D'altra parte con ogni probabilità, in quel quartiere del Giambellino abitava anche qualche poliziotto...Questo è avvenuto nel 1980, ma è una storia che non mi riguarda direttamente perché io, come ho accennato prima, stavo nelle case in muratura e quelle non si sono mai toccate.
Villetta dell'ex Villaggio Finlandese |
In alcune vie ai margini del Villaggio dei Fiori è possibile trovare delle villette unifamiliari chiamate "case minime a schiera", fatte costruire dal Comune di Milano negli anni Cinquanta e finalizzate anch'esse a fornire un alloggio ai tanti sfollati per colpa della guerra. Case minime chiamate così per le loro ridotte dimensioni e con la possibilità di coltivare qualcosa grazie al piccolo giardino retrostante.
Case minime a schiera |
Eppure le Case Minime più famose in questa zona erano quelle case popolari costruite durante il Ventennio Fascista lungo la via Forze Armate, esattamente dopo l'ospedale militare. Vennero abbattute nel 1986 e al loro posto costruiti dei moderni condomini popolari che ad oggi avrebbero bisogno di una sostanziale ristrutturazione.
Tra questi grigi palazzoni è sopravvissuta qualche traccia antica e la più originale è senz'altro la palazzina a due piani che ospita tutt'ora un bar (ricorda quasi la casa del protagonista di "Up" della Disney…) chiamato "il Tabaccaio della Creta".
"il tabaccaio della Creta" |
Era questo edificio di inizi Novecento molto probabilmente una stazione di posta per i cavalli diretti a Baggio. Inoltre le costruzioni antiche qui presenti fungevano un po' da porta di ingresso per la Cascina Creta (o Crea in dialetto) posta esattamente dietro al tabaccaio.
L'intera zona veniva chiamata così perché il terreno al proprio interno aveva una vasta presenza di argilla utile per la creazione della creta utilizzata poi a sua volta per la creazione di tegole e mattoni.
Nel 1937 però i lavoratori ed abitanti della cascina si trasferirono nella Cascina Creta Nuova (ancora presente e operante nella vicina via Ascona), una struttura decisamente più moderna. Infine il Governo Fascista, quale risarcimento, offrì un posto di lavoro nelle fabbriche agli occupanti che avevano partecipato alla campagna d'Africa del '35. Furono queste due ragioni a decretare la fine completa della cascina vecchia, la quale venne abbattuta negli anni Ottanta.
Cascina Creta Nuova |
Segno dei proiettili esplosi dai tedeschi in ritirata durante la Seconda Guerra Mondiale |
Nel trasferirmi a vivere in questa zona mi sono sempre chiesto perché il Comune di Milano abbia intitolato una via così importante e grande ad una piccola città pugliese, ovvero Bisceglie (tanto da dare il nome al capolinea della metropolitana)… La spiegazione la si può trovare proprio nei paraggi del "Tabacchè de la Crea": qui anticamente c'era un viottolo di campagna ribattezzato dagli abitanti della zona, non si sa per quale ragione, proprio Bisceglie.
Ingresso metropolitana |
Per finire, sicuramente gli abitanti della zona Inganni avranno fatto caso ai nomi delle vie che circondano la chiesa di san Giovanni Battista alla Creta (chiamata così a ricordo della vicina omonima Cascina) sita a due passi dalla fermata della metropolitana. Qui le vie, al posto di chiamarsi con nomi di personaggi storici poco conosciuti, ricordano le diverse specie di uccelli: passero, usignolo, allodola, capinera, rondine, storno, cardellino. Questo è dovuto al fatto che la chiesa è gestita dai frati francescani e dunque, in onore al Poverello di Assisi sono state dedicate queste eleganti vie milanesi.
Facciata della chiesa con l'originale pulpito (a sinistra) progettato a fini estetici |
La chiesa di Inganni merita senz'altro una visita per la sua originalità e perché conserva al proprio interno alcune curiosità.
Opera dell'architetto Giovanni Muzio, s. Giovanni Battista venne consacrata nel 1958. In questa zona della città infatti erano sorti diversi condomini e la comunità locale era sprovvista di una chiesa. Fu così che il francescano Padre Enrico Zucca convinse la signora Luisa Farina, vedova dell'industriale Giovanni Cabassi, ad utilizzare i propri fondi, non per la costruzione di una cappella di famiglia presso il Cimitero Monumentale, ma bensì per una chiesa da edificare nel quartiere. La signora acconsentì a patto che la Parrocchia portasse il nome di suo marito prematuramente scomparso. Fu così che la famiglia Cabassi coprì tutte le spese e donò il terreno alla Diocesi la quale, una volta costruita la chiesa, fece un'eccezione: abilitò una porzione della struttura a cappella mortuaria.
Esiste all'interno della chiesa una statua seicentesca rappresentante sant'Antonio con in braccio il Bambinello, teneramente proteso a dare una carezza al Santo. Non si conosce l'origine dell'opera; l'unica cosa che si sa è che dopo qualche tempo venne considerata un po' sconcia per il contesto in cui era ospitata. Il Bambin Gesù infatti era nudo e per questa ragione gli furono creati delle braghette. Inoltre proprio nella nicchia che attualmente ospita la statua c'era un affresco che ritraeva il santo di Padova. Sin dall'inizio però quest'opera suscitò forti polemiche tra i parrocchiani perché si diceva che il santo fosse brutto in quel ritratto. Gli animi si esasperarono talmente tanto che un parrocchiano addirittura lo sfregiò. Per questa ragione l'opera venne cancellata e al suo posto posizionata la statua bronzea.
Statua di sant'Antonio di Padova |
Affreschi di Pompeo Borra e Lisa Sotili |
Grazie, ho letto con molto interesse.
RispondiEliminaGrazie a te!:)
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