vetrate del Duomo FONTE https://adottaunaguglia.duomomilano.it/it/infopage/vetrate-in-duomo |
Più passa il tempo e più mi accorgo di quanto i milanesi poco conoscano la propria città...
Più passa il tempo e più mi accorgo di quanto i milanesi desiderino conoscere la propria città.
Dunque questo post e il seguente sono per tutti coloro (milanesi e non) che hanno voglia di sorridere di e con Milano, piangere per lei, aver paura e soddisfare la propria sete di conoscenza.
Sono 20 storie (ce ne sarebbero tante altre da raccontare, ma queste sono sicuramente le più meritevoli) messe in ordine cronologico che, mi auguro, assolvano al compito di divulgare le conoscenze di questa città incredibilmente sorprendente!
Ecco le prime dieci.
Buona lettura...
1 Belloveso e la fondazione di Mediolanum
Foto di Francesco Mezzotera |
Spesso ci si è interrogati su quale
sia l'origine della città e del suo nome. Esistono tante versioni, ma quella
più accreditata, anche se leggendaria, è senz'altro quella narrata da Tito
Livio (59 a.C., 17 d.C.), secondo il quale un principe celtico di nome
Belloveso, fu inviato dall'anziano zio alla ricerca di nuove terre da
colonizzare.
Partì probabilmente
dall'attuale Francia centrale e, una volta varcate le Alpi, fondò nel
"territorio degli Insubri" Mediolanum.
Il nome della città ai tempi dei celti doveva essere Medhelan, poi latinizzato in Mediolanum, ossia "semi lanuta" che verosimilmente fa riferimento alla leggenda della scrofa con il dorso coperto di lana.
Andrea Alciato (XVI sec.) riporta per iscritto la leggenda: giunto nella pianura padana Belloveso consultò l'oracolo il quale disse che, dove avrebbe trovato una scrofa ricoperta di lana, allora lì avrebbe potuto fondare la sua città. Il principe disperava di poter trovare un animale simile, ma incredibilmente, mentre riposava sotto un albero, scorse questo maiale e lì fondò Mediolanum.
Ancora oggi l'immagine di questo animale mitologico possiamo ammirarlo sulla seconda arcata del Palazzo della Ragione (lato che si affaccia su via Mercanti).
Il nome della città ai tempi dei celti doveva essere Medhelan, poi latinizzato in Mediolanum, ossia "semi lanuta" che verosimilmente fa riferimento alla leggenda della scrofa con il dorso coperto di lana.
Andrea Alciato (XVI sec.) riporta per iscritto la leggenda: giunto nella pianura padana Belloveso consultò l'oracolo il quale disse che, dove avrebbe trovato una scrofa ricoperta di lana, allora lì avrebbe potuto fondare la sua città. Il principe disperava di poter trovare un animale simile, ma incredibilmente, mentre riposava sotto un albero, scorse questo maiale e lì fondò Mediolanum.
Ancora oggi l'immagine di questo animale mitologico possiamo ammirarlo sulla seconda arcata del Palazzo della Ragione (lato che si affaccia su via Mercanti).
La storia che sto per raccontare ha, diversamente da altre, una datazione ben precisa: 13 marzo del 51 d.C.
A questa data si fa risalire, ad opera di san Barnaba apostolo, la conversione di Mediolanum al cristianesimo.
La leggenda narra infatti del santo che, una volta giunto nei pressi della città, si fermò non lontano dalla porta Orientale, valutando il da farsi, dal momento in cui veniva chiesto a chiunque entrasse in città un tributo agli Dei pagani. In quel momento decise di formare una croce e per farlo prese due rami conficcando la parte verticale in una pietra lì presente. Il minerale sembrava burro in quel momento, tanto che san Barnaba incise con le dita alla sua base tredici segni a raggiera attorno al legno della croce. Questo incredibile avvenimento attirò subito tante persone, le quali rimasero colpite dal gesto e dalle parole pronunciate dall'apostolo. Quando il santo si apprestò a varcare la porta, per miracolo le statue degli Dei si sbriciolarono, la neve allora presente si sciolse e apparvero i primi fiori, preludio di primavera.
Giunto nei pressi dell'attuale basilica di sant'Eustorgio iniziò ad impartire i primi battesimi; nasceva così la prima comunità cristiana mediolanense.
Con l'avvento del cristianesimo, sant'Ambrogio decise di custodire la preziosa pietra con i tredici segni nella basilica di san Dionigi che si trovava nell'attuale parco di porta Venezia.
Con l'abbattimento della basilica, nel XVIII sec., la pietra venne trasferita nella chiesa di santa Maria al Paradiso, in corso di porta Vigentina.
E' per questa ragione che nel fine settimana successivo al 13 marzo, nei paraggi di santa Maria al Paradiso, ossia in via Crema e dintorni, possiamo godere di una colorata fiera con, in prevalenza, bancarelle di fiori primaverili. E' la famosa fiera del "tredesin de marz" durante la quale anticamente si solea tagliare i capelli ai bambini perchè si diceva che così sarebbero ricresciuti più forti.
A proposito: è stato dimostrato che san Barnaba non arrivò mai a Milano (morì martirizzato a Cipro) e la pietra altro non era che un oggetto religioso venerato dagli Insubri!
3 La rocambolesca nomina di sant'Ambrogio
Immagine sant'Ambrogio nel gonfalone di Milano |
Nacque nel 340 a Treviri, nelle Gallie (attualmente in Germania) da genitori cristiani, dopo Satiro e Marcellina (entrambi santi). Nonostante la sua famiglia vantasse di avere una santa martire tra i suoi membri (santa Sotere), Ambrogio in realtà non era battezzato. Le sue ambizioni erano in ambito politico: nel 374, al momento della morte del vescovo milanese Aussenzio, lui ricopriva la carica di governatore dell’Emilia e Liguria (che comprendevano anche Piemonte e Lombardia) con sede a Milano (capitale dell'impero d'occidente).
Con la morte di Aussenzio, in città si vennero a creare forti contrasti tra le due fazioni in cui era divisa la chiesa: catari e cattolici.
Vista la situazione, Ambrogio volle partecipare all'elezione pubblica del nuovo vescovo, per poter garantire l'ordine.
La nomina si prospettava difficile dato che le due parti non riuscivano a convergere su un solo candidato, così il governatore decise di prendere la parola per far sì che potessero conciliare tra di loro.
Al termine del suo magistrale discorso si venne a creare il silenzio più assoluto e, dal fondo della chiesa emerse una vocina di bambino che urlava "Ambrogio vescovo! Ambrogio vescovo!"; passò qualche istante e l'intera assemblea si unì alla vocina.
Sentito questo chiassoso entusiasmo, il governatore scappò in preda al panico, perchè tutto desiderava tranne che diventare vescovo!
Nei giorni seguenti, per poter convincere i suoi concittadini di non essere adeguato alla carica, intraprese uno stile di vita peccaminoso: iniziò a frequentare delle prostitute e a far frustare i detenuti (per questo viene raffigurato con la frusta in mano)...Eppure i milanesi, più passava il tempo e più reclamavano Ambrogio vescovo.
Vista la situazione allora il povero governante decise di scappare dalla città, ma ogni volta che lo faceva, i milanesi lo riacchiappavano, anche grazie a Berta, la sua mula che, testarda, non ne voleva proprio sapere di allontanarsi da Milano.
La prima volta chiese a Berta di portarlo in piena notte da suo fratello Satiro a Pavia, lei che la strada la conosceva così bene. La povera mula trotterellò per ore finchè all'alba Ambrogio non si accorse che era ancora nei pressi di Milano: avevano fatto il giro quasi completo della città! Il futuro santo si stava riposando in un piccolo bosco quando venne sorpreso dai milanesi che si recavano in città per lavorare, i quali credettero che Ambrogio si fosse perso e dunque lo incitarono a tornare a casa. Nel posto dove è stato ritrovato il futuro vescovo è sorta una chiesa: sant'Ambrogio ad nemus (sant'Ambrogio al bosco) che in milanese divenne "sant'Ambroeus andemm" dalle esortazioni dei fedeli.
La seconda (e ultima) volta decise di ferrare al contrario l'asina, per poter confondere i suoi inseguitori, ma Berta, arrivata dalle parti di Abbiategrasso si impuntò tanto da permettere ai milanesi di catturarlo. A tal proposito, si narra che il nome del paese Corbetta (dove si presume si sia fermato il futuro santo) nasca proprio dalle incitazioni di Ambrogio alla sua mula: "Cor Betta, cor Betta!!!"
La prima volta chiese a Berta di portarlo in piena notte da suo fratello Satiro a Pavia, lei che la strada la conosceva così bene. La povera mula trotterellò per ore finchè all'alba Ambrogio non si accorse che era ancora nei pressi di Milano: avevano fatto il giro quasi completo della città! Il futuro santo si stava riposando in un piccolo bosco quando venne sorpreso dai milanesi che si recavano in città per lavorare, i quali credettero che Ambrogio si fosse perso e dunque lo incitarono a tornare a casa. Nel posto dove è stato ritrovato il futuro vescovo è sorta una chiesa: sant'Ambrogio ad nemus (sant'Ambrogio al bosco) che in milanese divenne "sant'Ambroeus andemm" dalle esortazioni dei fedeli.
Facciata della chiesa di sant'Ambrogio ad nemus in via Peschiera a Milano da www.restaurobcp.it |
La seconda (e ultima) volta decise di ferrare al contrario l'asina, per poter confondere i suoi inseguitori, ma Berta, arrivata dalle parti di Abbiategrasso si impuntò tanto da permettere ai milanesi di catturarlo. A tal proposito, si narra che il nome del paese Corbetta (dove si presume si sia fermato il futuro santo) nasca proprio dalle incitazioni di Ambrogio alla sua mula: "Cor Betta, cor Betta!!!"
A questo punto il governatore si arrese al suo destino: decise di farsi battezzare e, nell'arco di una settimana, fu nominato vescovo, esattamente il 7 dicembre (giorno a lui consacrato) del 374.
Chiesa sant'Ambrogio a Corbetta, costruita sul luogo presunto in cui venne catturato il governatore
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4 La colonna del Diavolo
Sulla sinistra dell'ingresso della chiesa di sant'Ambrogio si erge una solitaria colonna di marmo chiamata "colonna del Diavolo". A metà altezza si notano due fori...lasciate dalle corna del Diavolo! La leggenda narra infatti che Ambrogio passeggiava davanti alla chiesa leggendo i testi sacri; dopo l'ennesimo tentativo da parte del Diavolo di indurlo in tentazione, il vescovo esasperato gli piazzò un calcione sul didietro che lo spedì dritto contro la colonna qui presente; le corna si conficcarono nel punto esatto dei due fori e da lì venne risucchiato nuovamente all'Inferno.
Ad oggi si dice che se si accosta l'orecchio ai due fori è possibile sentire il rumore dello Stige, il fiume degli Inferi e sentire puzza di zolfo!
Inoltre si dice che la notte tra il sabato santo e il giorno di Pasqua, si può vedere circolare nei pressi della colonna un carro trainato dal Diavolo con a bordo le anime dei dannati condotte all'Inferno.
Inoltre si dice che la notte tra il sabato santo e il giorno di Pasqua, si può vedere circolare nei pressi della colonna un carro trainato dal Diavolo con a bordo le anime dei dannati condotte all'Inferno.
In realtà non si conosce la reale provenienza della colonna; si ipotizza che facesse parte di un monumento funebre e i due fori vennero qui praticati per il trasporto della colonna stessa.
Nell'alto Medioevo la colonna doveva essere abbracciata dagli Imperatori (provenienti dall'attuale Germania) per poter essere incoronati re d'Italia. Dopo aver giurato sul messale fedeltà al Papa e alla Chiesa Romana, il sovrano veniva incoronato con la Corona Ferrea.
Colonna del Diavolo
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5 Storia di un prete dalla sorte davvero infausta
La chiesa di san Tomaso in Terramara passa davvero inosservata in via Broletto; diverso è il discorso per il suo nome decisamente originale, così come originale è l'origine del suo appellativo.
Un'antica leggenda milanese narra infatti che "Terramara" derivi da un episodio in cui Giovanni Maria Visconti (duca di Milano nel XIV sec.) si infuriò in seguito al rifiuto del parroco della chiesa di celebrare il funerale di un uomo, dato che la vedova non aveva i mezzi per pagare il compenso al prete. Fece quindi seppellire lo stesso prete da vivo nella bara del defunto nel cimitero della chiesa, da cui il nome di San Tomaso in Terra Amara.
Molto più probabilmente però la dicitura deriva da quelle popolazioni che, sfuggendo alle invasioni barbariche, si rifugiarono in questa zona della città che prese il nome di Terra Amara in memoria dei propri luoghi d'origine.
Un'antica leggenda milanese narra infatti che "Terramara" derivi da un episodio in cui Giovanni Maria Visconti (duca di Milano nel XIV sec.) si infuriò in seguito al rifiuto del parroco della chiesa di celebrare il funerale di un uomo, dato che la vedova non aveva i mezzi per pagare il compenso al prete. Fece quindi seppellire lo stesso prete da vivo nella bara del defunto nel cimitero della chiesa, da cui il nome di San Tomaso in Terra Amara.
Molto più probabilmente però la dicitura deriva da quelle popolazioni che, sfuggendo alle invasioni barbariche, si rifugiarono in questa zona della città che prese il nome di Terra Amara in memoria dei propri luoghi d'origine.
Fonte: Wikipedia |
6 Bernarda Visconti: eroina romantica del XIV sec.
Seguire il proprio cuore non è mai stato troppo semplice, specie se sei
nata a metà del 1300, specie se porti un cognome così importante come quello
dei Visconti, specie se il tuo papà è il temutissimo Bernabò, Duca di Milano.
Bernarda era una delle figlie illegittime del Signore della città padana,
eppure venne sempre trattata dal padre come gli altri legittimi, tanto da
trovarle un nobile marito. Eppure la ragazza commise un errore: quello di
innamorarsi di un cortigiano, tale Antoniolo Zotta. Quando i due amanti vennero
scoperti, fecero una brutta fine: Antoniolo fu impiccato, mentre Bernarda venne
chiusa nelle segrete della porta Nuova in attesa di giudizio. Niente servirono
le suppliche dei famigliari della ragazza: il padre decise per lei la pena più
crudele, ovvero la morte per inedia. In quella cella d'isolamento buia
per l'assenza anche di una semplice finestrella infatti Bernarda, nutrita a
pane ed acqua, morì dopo nove mesi. Eppure già il giorno dopo la sua morte
qualcuno iniziò ad asserire di averla vista in giro per le varie corti italiane
e anche oggi qualcuno conferma di aver visto il suo fantasma girare per le vie
del centro pronunciando la solita litania: " Non fate del male ad
Antoniolo..."
Bernabò Visconti. Foto tratta da Wikipedia |
Porta Nuova (via Manzoni). Accanto alla porta medioevale si ergevano due torri ormai scomparse; alla base di esse c'erano le celle di isolamento. Foto tratta da Wikipedia |
7 Un leone in ostaggio tra le mura di Milano
Curiosa è la storia della colonna che si erge di fronte alla chiesa san Babila:
nel XV sec. Milano era in perenne lotta con la Repubblica Veneziana per contendersi i territori che ancora attualmente si trovano tra le due vecchie potenze militari. Si racconta che Venezia riuscì ad arrivare alle porte di Milano per sferrare l'attacco decisivo di notte, mentre i milanesi dormivano...in realtà dormivano tutti tranne un prestinee (panettiere) che aveva il forno proprio vicino a Porta Orientale (l'attuale via san Damiano, poco distante da piazza s.Babila). Questo "eroe per caso", accortosi dell'esercito veneziano che si era accampato nei pressi della porta, andò ad allarmare tutta la città, la quale non si fece trovare impreparata di fronte all'attacco veneziano. L'esercito nemico infatti non poté fare altro che battere in ritirata, lasciando sul campo il proprio stemma: il Leone di san Marco che oggi troviamo issato sulla colonna seicentesca di fronte alla chiesa.
nel XV sec. Milano era in perenne lotta con la Repubblica Veneziana per contendersi i territori che ancora attualmente si trovano tra le due vecchie potenze militari. Si racconta che Venezia riuscì ad arrivare alle porte di Milano per sferrare l'attacco decisivo di notte, mentre i milanesi dormivano...in realtà dormivano tutti tranne un prestinee (panettiere) che aveva il forno proprio vicino a Porta Orientale (l'attuale via san Damiano, poco distante da piazza s.Babila). Questo "eroe per caso", accortosi dell'esercito veneziano che si era accampato nei pressi della porta, andò ad allarmare tutta la città, la quale non si fece trovare impreparata di fronte all'attacco veneziano. L'esercito nemico infatti non poté fare altro che battere in ritirata, lasciando sul campo il proprio stemma: il Leone di san Marco che oggi troviamo issato sulla colonna seicentesca di fronte alla chiesa.
L'origine della piccola scultura posta sulla colonna probabilmente deriva da una battaglia conclusasi in maniera positiva per i milanesi i quali sequestrarono il leone in pietra ai veneziani, quale bottino di guerra.
8 Curiosa origine del risotto alla milanese
Chiunque entri in Duomo non può non rimanere colpito dalle colorate vetrate della cattedrale; ce ne sono di tutte le età (nonché un paio ancora con i vetri neutri), ma quelle più antiche sono quelle dell'abside: a queste è legata la leggenda della nascita del risotto alla milanese che, come si sa, è fatto con lo zafferano. Sin dall'inizio della costruzione del Duomo infatti i Visconti vollero garantirsi le migliori maestranze presenti in Europa. Per fare le vetrate furono chiamati i vetrai fiamminghi; tra questi c'era un mastro vetraio, tale mastro Valerio di Fiandra, che aveva un discepolo soprannominato “Zafferano” perché aveva l'abitudine di usare questa spezia, non solo per creare il giallo che poi serviva per le vetrate, ma per creare qualunque colore. Il mastro vetraio lo canzonava dicendogli che prima o poi avrebbe messo lo zafferano anche nel riso (principale pietanza popolare del XIV sec)! Qualche tempo dopo, al matrimonio della figlia di mastro Valerio, “zafferano” si presentò con un dono molto particolare: un piatto di riso giallo. All'inizio tutti rimasero un po' impressionati (per non parlare delle burle che ricevette), ma poi, una volta vinta l'iniziale ritrosia, gli invitati iniziarono ad assaggiare il risotto e fu subito un successone!... Successone che dura tutt'oggi.
FONTE https://blog.giallozafferano.it/giorgiocremona/archives/risotto-allo-zafferano-con-i-pistilli-di-zafferano/ |
9 La leggenda del campanile san Gottardo in corte
A partire dal XVI sec. Milano fu governata da potenze straniere, le quali considerarono il vecchio ducato degli Sforza semplicemente un posto da sfruttare. Inoltre spesso al cinismo straniero si affiancavano scelte poco felici e abbozzate, come quella di conservare nelle segrete del castello Sforzesco, più esattamente sotto la torre del Filarete, le polveri usate a scopo bellico.
Accadde così che un giorno del mese di giugno del 1521 probabilmente un fulmine colpì l'elemento metallico posto in cima alla torre, la quale esplose per questo evento naturale.
Anche in questo caso la fantasia popolare impiegò pochissimo a creare una leggenda per spiegare l'accaduto...
In quel periodo Milano era governata dai francesi, ma gli Sforza, con a capo Francesco II, provavano a riprendersi ciò che avevano perduto 22 anni prima. Al soldo di questi ultimi c'era un soldato svizzero conosciuto con il soprannome di Bombarda, per la sua maestria nell'utilizzo delle armi da fuoco. Verso fine giugno di quell'anno lo svizzero venne catturato dai soldati francesi mentre si stava sposando con la sua fidanzata Assunta nell'abbazia di Chiaravalle. Il governatore francese, saputo dell'accaduto ne approfittò subito per chiedere un favore al prigioniero: da quando era a Milano non riusciva più a dormire bene per colpa di un Angelo. Abitava infatti nei pressi della chiesa di san Gottardo in Corte (ancora oggi alle spalle di Palazzo Reale) che aveva sul proprio punto più alto, cioè sul campanile, una statua raffigurante un Angelo che, muovendosi con il vento, provocava rumori sinistri. Odetto di Foix (il governatore francese) dunque propose al Bombarda di abbattere con un solo colpo questo fastidioso segnavento in cambio della sua scarcerazione.
Naturalmente, per non farsi scoprire e avere questioni con la Chiesa, l'avrebbe dovuto fare quella sera stessa dato che c'era un temporale in corso e dunque sarebbe passato come un incidente: un fulmine che abbatte il campanile. Lo svizzero, appena intravide la possibilità di "salvare la propria pelle" e quella di Assunta, accettò subito. Lo portarono sulle merlate del Castello verso la città e, con un solo colpo riuscì, da così tanta distanza, a colpire ed abbattere il malcapitato Angelo. A questo punto però il comandante delle truppe francesi commise un errore: fece pernottare il Bombarda per l'ultima notte in prigione, senza togliergli l'arma appena usata. Proprio dalla finestra della prigione lo svizzero vide una cosa che lo fece imbestialire: Assunta era diventata il passatempo per i soldati francesi i quali la violentavano a turno...non ci pensò due volte: prese la mira e sparò alla base della torre del Filarete. La torre crollò, 300 soldati, nonché Assunta, morirono sepolti dalla struttura, il Bombarda venne immediatamente giustiziato e il comandante fu licenziato per aver commesso una tale ingenuità. Solo il governatore riuscì a trarre giovamento da questo episodio: da quella sera poté dormire beatamente senza più lo stridore dell'Angelo!
Quest'ultimo infatti venne riposizionato diversi anni e governi dopo (1735), mentre il castello si privò del suo elemento più ornamentale, cioè la torre progettata dal Filarete, fino agli inizi del 1900 quando venne ricostruita.
Naturalmente, per non farsi scoprire e avere questioni con la Chiesa, l'avrebbe dovuto fare quella sera stessa dato che c'era un temporale in corso e dunque sarebbe passato come un incidente: un fulmine che abbatte il campanile. Lo svizzero, appena intravide la possibilità di "salvare la propria pelle" e quella di Assunta, accettò subito. Lo portarono sulle merlate del Castello verso la città e, con un solo colpo riuscì, da così tanta distanza, a colpire ed abbattere il malcapitato Angelo. A questo punto però il comandante delle truppe francesi commise un errore: fece pernottare il Bombarda per l'ultima notte in prigione, senza togliergli l'arma appena usata. Proprio dalla finestra della prigione lo svizzero vide una cosa che lo fece imbestialire: Assunta era diventata il passatempo per i soldati francesi i quali la violentavano a turno...non ci pensò due volte: prese la mira e sparò alla base della torre del Filarete. La torre crollò, 300 soldati, nonché Assunta, morirono sepolti dalla struttura, il Bombarda venne immediatamente giustiziato e il comandante fu licenziato per aver commesso una tale ingenuità. Solo il governatore riuscì a trarre giovamento da questo episodio: da quella sera poté dormire beatamente senza più lo stridore dell'Angelo!
Quest'ultimo infatti venne riposizionato diversi anni e governi dopo (1735), mentre il castello si privò del suo elemento più ornamentale, cioè la torre progettata dal Filarete, fino agli inizi del 1900 quando venne ricostruita.
P.za Cairoli con il Castello sullo sfondo. Cartolina dei primi anni del novecento dove è possibile notare l'assenza della Torre del Filarete che verrà ricostruita a breve. |
10 Bianca Maria, contessa di Challant: storia di una arrampicatrice sociale alla corte dei francesi
E' risaputo che nel XVI sec. la classe
dominante era quella aristocratica, eppure c'era in quel periodo, tra le fila
del popolino, una fanciulla di nome Bianca Maria Scapardone conscia della sua
bellezza e del non volersi accontentare di una vita fatta di stenti.
Dunque con fredda
determinazione, mise in piedi il suo piano di scalata sociale...
Siamo nel 1514 quando
Bianca riuscì a farsi portare all'altare da Ermes Visconti, il quale da lì
a poco morirà perchè anziano lasciandole, tra l'altro, in eredità il
titolo nobiliare.
In seguito si sposò con il conte Renato
Challant, presto abbandonato dalla neo-contessa che decise di trasferirsi a
Pavia con il lucido intento di conquistare uomini più potenti...
Ma trovò la persona sbagliata sul suo cammino: Ardizzino Valperga, conte di
Masino, desideroso di vendetta poiché si era sentito usato.
Così, una volta che la contessa di Challant gli girò le spalle,
il Valperga iniziò a spargere in giro maldicenze nei confronti della donna,
tanto che Bianca Maria non potè più accedere ai salotti buoni della città.
La Scapardone andò su tutte le furie: era
questa un'onta che andava lavata con il sangue!
Fu l'ennesima "vittima" della
donna l'esecutore dell'omicidio: don Pietro di Cardona...
Eppure quest'ultimo, una volta scoperto e
catturato, non tardò a confessare chi era stato il mandante e così, nel 1526,
la contessa, ribattezzata la "mantide di Challant", venne decapitata
presso una delle porte laterali del Castello Sforzesco.
Qualcuno sostiene che il suo fantasma si
aggiri ancora nei pressi del maniero...
Tra gli astanti della decapitazione ci fu
anche Bernardino Luini il quale rimase affascinato dalla bellezza della donna,
non compromessa neanche dalla morte violenta. Il pittore la volle così
immortalare nei panni di santa Caterina inginocchiata per subire la
decapitazione.
Cappella di santa Caterina, chiesa di san Maurizio al monastero maggiore Foto di Francesco Mezzotera |
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