Foto tratta da www.wikiwand.com |
Eppure le
premesse a questi eccezionali giorni dobbiamo cercarle in ciò che successe qualche
mese prima. Con l'inizio del nuovo anno i cittadini meneghini decisero di
danneggiare l’economia dell’odiato invasore, rinunciando al fumo. I tabacchi infatti facevano parte del monopolio di stato e non comprare più tabacco avrebbe leso
le casse asburgiche.
E’
sicuramente incredibile pensare come tutto abbia avuto inizio grazie ad una
“statua parlante”.
Ci troviamo in corso Vittorio
Emanuele, davanti ad un famoso negozio di abbigliamento. Quella ritratta nella
foto è un’antica statua romana simile al Pasquino di Roma, una scultura sulla quale venivano affissi dei cartelli
con lo scopo di sbeffeggiare di nascosto i potenti della città. Abitudine che
era soprattutto in voga durante il Risorgimento, tanto che le autorità
cittadine spostarono la statua al primo piano dell'abitazione dove si trovava
allora (ai piedi di un palazzo in via san Pietro all'Orto), ma questo non impedì
ai milanesi di appendere un cartello che invitava allo sciopero dei sigari.
Il suo nome deriva
dalla prima parola dell'iscrizione di Cicerone ai piedi della statua "Carere
debet omni vitio qui in alterum dicere paratus est" (Deve essere privo
di ogni colpa chi è pronto a parlare contro un altro), ma viene anche
comunemente chiamato Omm de Preja, cioè uomo di pietra.
Lo sciopero del fumo durò 6 giorni
e provocò ben 6 morti tra gli inermi milanesi (tra cui anche un bambino di 4
anni).
La tensione
durò qualche mese ed ebbe modo di sfogarsi il 18 marzo del 1848. In quel giorno
infatti una pacifica manifestazione contro il dominio austriaco sfociò in men
che non si dica in una rivolta armata.
I milanesi,
male equipaggiati, ma carichi di rabbia, scesero compatti in piazza per lottare
contro i soldati austriaci. La partecipazione fu massiccia e trasversale:
accanto ai patrizi potevamo vedere uomini di umili origini; gli orfani meneghini (i
famosi Martinitt) facevano da staffetta, mentre gli astronomi usavano i propri strumenti di
lavoro per pattugliare la città. Furono subito erette barricate con tutto ciò
che poteva servire all'uopo; donne milanesi lanciavano olio bollente dalla
finestra al passaggio dei soldati austriaci; la campana della torre del Palazzo
dei Giureconsulti suonò talmente tanto e con vigore, per poter “richiamare in
battaglia” i milanesi, che alla fine si spezzò.
Vista la
situazione il vecchio generale Radetzky, capo dell’esercito austriaco stanziato nel
Lombardo Veneto, diede l’ordine di ritirata nel Castello Sforzesco che allora
altro non era che una caserma. Tuttavia i soldati austriaci circondarono ed
isolarono la città, occupando tutte le porte cittadine. I milanesi però non si
persero d’animo e, per invitare i lombardi ad unirsi alla lotta, utilizzarono
delle piccole mongolfiere, capaci di superare le mura milanesi e recapitare
messaggi scritti a coloro che abitavano fuori Milano; messaggi che invitavano
ad unirsi alla lotta contro il nemico comune austriaco!
La città
venne ferita durante i combattimenti e ad oggi qualche segno è ancora rimasto
sugli edifici.
Palla di cannone (con data 20 marzo 1848) incastonata nella parete esterna del Palazzo Acerbi, in c.so di p.ta Romana Foto tratta da www.robertovisigalli.it |
Palazzo Cusani, in via Brera. Sulla facciata posteriore è incastonata una palla di cannone scagliata dall'esercito austriaco durante le Cinque giornate di Milano. Foto di Francesco Mezzotera |
Casa de' Marchi, c.so Venezia 13. Foto di Francesco Mezzotera |
L’ultima delle cinque giornate fu davvero gloriosa: i milanesi riuscirono a conquistare l’allora porta Tosa. Vista la mal parata, l’esercito austriaco, batté in ritirata verso il Quadrilatero (Mantova, Verona, Peschiera del Garda, Legnago). Erano queste città infatti fortemente in mano agli austriaci.
Per
l’occasione Porta Tosa venne ribattezzata Porta Vittoria.
P.za cinque giornate con i caselli daziari della vecchia porta Vittoria. Foto tratta da www. wikiwand.it |
Il giorno
successivo l’ambizioso Carlo Alberto di Savoia (che sognava di sconfiggere con il suo
piccolo esercito la potenza militare austriaca), scese in campo accanto ai
milanesi. Iniziò così la Prima Guerra di Indipendenza che fu caratterizzata da
una serie di battaglie sanguinose, sempre a scapito dell’esercito sabaudo. Fu
così che di sua iniziativa il re piemontese decise, il 4 agosto dello stesso
anno, di firmare la resa.
Quando i
focosi milanesi seppero di questa sua iniziativa unilaterale, si riunirono
spontaneamente sotto il balcone di Palazzo Brentani che ospitava il “re
deludente” e, carichi di rancore, protestarono, tanto che qualcuno addirittura
imbracciò il fucile per sparare dei colpi contro Carlo Alberto affacciato al balcone.
Sarà necessario aspettare la Seconda Guerra di Indipendenza (1859) per vedere finalmente la Lombardia annessa al Regno di Sardegna, sotto il re Vittorio Emanuele II.
Monumento a Vittorio Emanuele II in p.za Duomo. Foto tratta dalla pag FB di Milano sparita e da ricordare |
Dovremo invece attendere il 1895 per vedere celebrate le gloriose cinque giornate in un monumentale obelisco che ospita nella sua cripta i resti dei milanesi morti durante l’insurrezione.
Monumento alle cinque giornate |
Cripta del monumento alle cinque giornate. Foto tratte da www.lemiepasseggiate.blogspot.com |
Abbiamo visto come il Castello Sforzesco nel XIX sec. fosse considerato semplicemente una caserma e, in quanto tale, capace di dare ospitalità alle truppe austriache minacciate dai civili milanesi. Ad oggi l’unica testimonianza di quella dominazione straniera all'interno del maniero è la statua di san Giovanni Nepomuceno, protettore degli Asburgo, situata nella piazza d’Armi.
Foto di Giovanni Dall'Orto |
…Eppure la
pronuncia del nome del santo è sempre risultata ostica, tanto che i milanesi,
con il loro spirito pragmatico meneghino, l’hanno ribattezzata “san Giovan
né pu né men!”
Sempre al Castello Sforzesco, presso i musei in esso ospitati, è possibile ammirare un bassorilievo davvero insolito: una fanciulla in procinto di tosarsi il pube. Quest’opera si trovava anticamente sulla Porta Tosa medievale (che diede il nome alla porta Tosa seicentesca, poi ribattezzata porta Vittoria) e pare che il suo nome derivi proprio dall'immagine della fanciulla. Le interpretazioni sono diverse: potrebbe essere la rappresentazione di una prostituta (anticamente queste professioniste dovevano per legge, per una questione igienica, radersi il pube) o lo sberleffo fatto dai milanesi alla moglie dell’imperatore Federico Barbarossa (Beatrice di Borgogna), reo di aver raso al suolo la città. Per vendicarsi i milanesi ritrassero l’imperatrice in questa posizione oscena.
Foto tratta da www.ilmilaneseimbruttito.com |
Concludo questo mio scritto con un quadro ospitato nel Museo del Risorgimento.
Rappresenta
la reazione emotiva dei milanesi alla lettura del bollettino di Villafranca con
cui, al termine della Seconda Guerra di Indipendenza, la Lombardia veniva
ammessa al Regno di Sardegna, diversamente dal Veneto che rimaneva territorio austriaco.
Come si evince dall'opera, questa decisione suscitò entusiasmi e delusioni… Una
domanda però mi sorge spontanea: cosa ci faceva Jovanotti nella Milano del
1859?
"L'arrivo del bollettino di Villafranca" di Domenico Induno (1862) Foto tratta da http://www.edixxon.com |
Foto di Francesco Mezzotera |
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