Palazzo Luraschi, cortile. Foto tratta da www.uncicinidemilan.wordpress.com |
In questo periodo di epidemia il nostro breve viaggio tra le curiosità di Milano non poteva che iniziare dalla Madonna dei carbonai in via Laghetto, angolo vicolo Laghetto.
La toponomastica di queste due vie è particolare e deriva dal fatto che qui fino al 1857 avremmo trovato un laghetto che si apriva lungo il naviglio (l'attuale via Francesco Sforza). Questa piccola darsena era stata infatti progettata sin dal XIV sec. per trasportare, tramite navigli, quanto più vicino possibile al Duomo i marmi per la Veneranda Fabbrica.
Nel 1630 scoppiò una tremenda peste (quella ricordata dal Manzoni ne "I Promessi Sposi") che fu in grado di uccidere due milanesi su tre. Tutta la città era interessata da questo flagello, ad esclusione del laghetto di santo Stefano e paraggi. Subito si pensò ad una strega che qui abitava e che preservava gli abitanti di questa zona dalla peste. In realtà ad oggi possiamo affermare che la polvere del carbone scaricato, posandosi sula pelle, fungeva da disinfettante contro la peste.
Per ringraziare la Madonna di questo "miracolo", gli abitanti della zona (tutti scaricatori di porto) commissionarono un quadro al Rastellini, rappresentante la mamma di Gesù tra san Rocco, san Carlo Borromeo e san Sebastiano. Tuttavia la parte più interessante dell'opera è quella meno chiara sia in foto che sul posto: la porzione bassa dell'affresco infatti ritrae il Lazzaretto con gli ammalati che entrano da destra, mentre da sinistra escono le salme…
Subito questa Maria venne ribattezzata "la Madonna dei tencitt" (ten in dialetto significa scuro e chi più dei carbonai poteva essere scuro, con la loro epidermide ricoperta di polvere nera?) e ancora questo affresco lo troviamo in via Laghetto, un po' nascosto, ma preziosa testimonianza di un passato così non troppo passato.
La toponomastica di queste due vie è particolare e deriva dal fatto che qui fino al 1857 avremmo trovato un laghetto che si apriva lungo il naviglio (l'attuale via Francesco Sforza). Questa piccola darsena era stata infatti progettata sin dal XIV sec. per trasportare, tramite navigli, quanto più vicino possibile al Duomo i marmi per la Veneranda Fabbrica.
Nel 1630 scoppiò una tremenda peste (quella ricordata dal Manzoni ne "I Promessi Sposi") che fu in grado di uccidere due milanesi su tre. Tutta la città era interessata da questo flagello, ad esclusione del laghetto di santo Stefano e paraggi. Subito si pensò ad una strega che qui abitava e che preservava gli abitanti di questa zona dalla peste. In realtà ad oggi possiamo affermare che la polvere del carbone scaricato, posandosi sula pelle, fungeva da disinfettante contro la peste.
Per ringraziare la Madonna di questo "miracolo", gli abitanti della zona (tutti scaricatori di porto) commissionarono un quadro al Rastellini, rappresentante la mamma di Gesù tra san Rocco, san Carlo Borromeo e san Sebastiano. Tuttavia la parte più interessante dell'opera è quella meno chiara sia in foto che sul posto: la porzione bassa dell'affresco infatti ritrae il Lazzaretto con gli ammalati che entrano da destra, mentre da sinistra escono le salme…
Subito questa Maria venne ribattezzata "la Madonna dei tencitt" (ten in dialetto significa scuro e chi più dei carbonai poteva essere scuro, con la loro epidermide ricoperta di polvere nera?) e ancora questo affresco lo troviamo in via Laghetto, un po' nascosto, ma preziosa testimonianza di un passato così non troppo passato.
Foto tratta da www.abatestoppani.it |
Sempre a proposito di affreschi, dopo la cronaca in immagini
della giornata tipo di una nobildonna del XV sec. in Bicocca (vedi post del 8 settembre 2018), ecco illustrati i passatempi della classe nobiliare rinascimentale.
Ci troviamo nel palazzo Borromeo nell'omonima piazza e gli affreschi ritratti in queste foto dovevano essere solo una parte del ciclo pittorico che impreziosiva questa nobile dimora. Purtroppo il palazzo è stato fortemente danneggiato dai bombardamenti del 1943 e ciò che rimane è stato irrimediabilmente compromesso dall'umidità risalente dal sottosuolo.
Curioso è il tema trattato in queste opere: i giochi dei nobili ragazzi della famiglia Borromeo nel XV sec.
Così, grazie a questa testimonianza, oggi sappiamo che all'epoca il tempo libero veniva impegnato nel gioco dei tarocchi (prima foto), della palmata (consistente nel "darsi un cinque", seconda foto) e nel gioco della palla (terza foto).
Ci troviamo nel palazzo Borromeo nell'omonima piazza e gli affreschi ritratti in queste foto dovevano essere solo una parte del ciclo pittorico che impreziosiva questa nobile dimora. Purtroppo il palazzo è stato fortemente danneggiato dai bombardamenti del 1943 e ciò che rimane è stato irrimediabilmente compromesso dall'umidità risalente dal sottosuolo.
Curioso è il tema trattato in queste opere: i giochi dei nobili ragazzi della famiglia Borromeo nel XV sec.
Così, grazie a questa testimonianza, oggi sappiamo che all'epoca il tempo libero veniva impegnato nel gioco dei tarocchi (prima foto), della palmata (consistente nel "darsi un cinque", seconda foto) e nel gioco della palla (terza foto).
Foto tratte da www.storiadimilano.it |
Se i nomi dei protagonisti degli affreschi del palazzo Borromeo ci sono ad oggi sconosciuti, lo stesso non si può dire dei personaggi ritratti in scultura nel palazzo Luraschi (corso Buenos Aires 1). Al posto di questo eclettico palazzo infatti fino al 1887 avremmo trovato una porzione della grande struttura del Lazzaretto, luogo dove sono stati ambientati alcuni capitoli de"i Promessi Sposi". Dunque come omaggio a quest'opera letteraria l'architetto Luraschi decise di immortalare nei medaglioni 12 personaggi dell'opera manzoniana. Eppure c'è chi sostiene (a mio avviso non a torto) che l'omaggio sia stato dettato dai sensi di colpa. La zona del Lazzaretto infatti è stata sottoposta ad una forte speculazione edilizia; inoltre palazzo Luraschi fu il primo ad infrangere la regola non scritta della "servitù del Resegone" secondo la quale gli edifici a nord della città non dovevano superare l'altezza dei tre piani, per permettere a tutti gli abitanti di godere della vista del monte lecchese.
Chissà che “la servitù del Resegone” non servisse anche a garantire il sole alle basse abitazioni popolari? Sì perché il sole storicamente a Milano è sempre stato prezioso ed apprezzato…prova ne è la targa sopra il portone di via Fogazzaro 37.
Concludo questo veloce excursus in città citando un’opera d’autore: il cavallo di Leonardo.
Foto di Sergio Biagini |
Concludo questo veloce excursus in città citando un’opera d’autore: il cavallo di Leonardo.
Ci troviamo all'ingresso dell'ippodromo, a poca distanza dallo stadio Meazza. Qui nel 1999 è stata posizionata questa copia in bronzo tratta dal grandioso progetto di Leonardo da Vinci.
Nel 1483 infatti Ludovico il Moro commissionò al genio toscano la statua equestre più grande al mondo in grado di celebrare il prestigio del suo estinto padre, Francesco Sforza.
Nei progetti originali il quadrupede doveva essere rampante, ma poi Leonardo si rese conto che era impossibile far stare in equilibrio un cavallo così grande, quindi optò per uno al passo.
Dopo 16 anni, nel 1499 Leonardo era pronto per fondere il bronzo per creare la statua, ma a quel punto si accorse che il bronzo non c'era più perchè utilizzato per costruire i cannoni per la guerra contro i francesi.
All'arrivo degli invasori, il modello in scala reale in creta venne distrutto dai soldati d'oltralpe per mero divertimento.
Esattamente 500 anni dopo, nel 1983, un collezionista americano, Charles Dent, commissionò ad un'artista giapponese, Nina Akamu, il compito di realizzare ciò che Leonardo non ebbe la possibilità di fare. Anche in questo caso ci si impiegò 16 anni e finalmente nel 1999 la statua giunse a Milano a pezzi per poi essere rimontata dove oggi la possiamo ammirare (anche se meriterebbe più ammiratori).
Una identica copia è posizionata nel Meijers Garden, un parco pubblico del Michigan.
Nel 1483 infatti Ludovico il Moro commissionò al genio toscano la statua equestre più grande al mondo in grado di celebrare il prestigio del suo estinto padre, Francesco Sforza.
Nei progetti originali il quadrupede doveva essere rampante, ma poi Leonardo si rese conto che era impossibile far stare in equilibrio un cavallo così grande, quindi optò per uno al passo.
Foto tratta da Wikipedia |
Dopo 16 anni, nel 1499 Leonardo era pronto per fondere il bronzo per creare la statua, ma a quel punto si accorse che il bronzo non c'era più perchè utilizzato per costruire i cannoni per la guerra contro i francesi.
All'arrivo degli invasori, il modello in scala reale in creta venne distrutto dai soldati d'oltralpe per mero divertimento.
Esattamente 500 anni dopo, nel 1983, un collezionista americano, Charles Dent, commissionò ad un'artista giapponese, Nina Akamu, il compito di realizzare ciò che Leonardo non ebbe la possibilità di fare. Anche in questo caso ci si impiegò 16 anni e finalmente nel 1999 la statua giunse a Milano a pezzi per poi essere rimontata dove oggi la possiamo ammirare (anche se meriterebbe più ammiratori).
Una identica copia è posizionata nel Meijers Garden, un parco pubblico del Michigan.
Foto di Francesco Mezzotera |
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