foto tratta da www.style.corriere.it |
"Sono contenta di quello che ho vissuto… Se penso a quello che le mie amiche mi dicevano: trascorriamo una vita troppo regolare, fatta di ore passate in ufficio e di domeniche dedicate all'arrosto...Invece io ho avuto modo e ho modo di conoscere tante persone belle e interessanti".
Queste sono le sante parole di Angelica Vanni, figlia dell'ideatore del Capolinea, il mitico Giorgio.
Sabato sera ricevo una telefonata che è davvero un regalo: la signora Angelica infatti, in mezzora di chiacchierata, mi porta in una Milano che non c'è più, una Milano davvero autentica.
Mi racconta degli inizi di quella che poi diverrà l'unica istituzione jazz a Milano negli anni '70. Il Capolinea infatti venne fondato il 14 Dicembre del 1969, due giorni dopo un capitolo davvero triste per Milano: la strage di piazza Fontana.
foto tratta da www.espresso.repubblica.it |
Quello che fece Giorgio Vanni fu qualcosa di semplice eppure storico, perché si sa: dove c'è divertimento, c'è anche successo.
In quel giorno il batterista toscano rilevò un locale di poche pretese, il "Ristorante Bellaria". Si trovava in via Ludovico il Moro 119, in una zona di campagna, tra i borghi di Restocco Maroni e Ronchetto sul Naviglio. Accanto al "Ristorante Bellaria" c'era la Ca' Bianca, una delle tante cascine che caratterizzavano questa parte di territorio. Era la Ca' Bianca probabilmente anche lei destinata all'abbandono (cosa che poi per fortuna non avvenne) in quella Milano lanciata verso un futuro industriale e poi tecnologico.
Giorgio Vanni con Dizzy Gillespie Foto tratta da www.capolinea.altervista.org |
Già, perché i Navigli non erano quelli che conosciamo noi oggi, zona patinata di "movida imbruttita". Era semplicemente quella fetta di Milano dove abitavano gli operai, spesso venuti dal Meridione per lavorare nelle tante fabbriche cittadine. Era quella fetta di metropoli dove d'estate eri costretto a lottare contro le zanzare e d'inverno rischiavi di ritrovarti con la bici in mezzo ai campi se non conoscevi a memoria le strade, tanta la nebbia che c'era. Era quella fetta di "Milano con il cuore in mano", dove i fine settimana non si trascorrevano nelle seconde case sul lago, ma sui ballatoi delle tante case di ringhiera a parlare con i vicini e a rimproverare i bambini che giù in cortile si sbucciavano le ginocchia a furia di giocare.
Foto tratta da www.macchiedichina.com |
Qui, in questo angolo di Milano, fuori da ogni meta d'élite, il buon Giorgio fonda il Capolinea. Lo chiama così perché nella vicina p.le Negrelli faceva capolinea il 19. Oltre c'era l'estrema periferia (Ramazzotti, a proposito di Roma, qualche anno più tardi, canterà "Dove i tram non vanno avanti più").
Il passionale Vanni era infatti stanco di suonare quella melensa musica italiana nei vari locali cittadini. Eppure doveva guadagnare, lui che di figli (anzi, figlie) ne aveva ben tre. Così, riposte le bacchette, dopo ore ad accompagnare rime con "amore e cuore", dava finalmente sfogo alla sua passione: il Jazz!
Questo genere, che poco si sposa con la rigidità della canzonetta italiana, ma che più assomiglia ad un polipo danzante in un mare scuro di note d'argento, aveva decisamente conquistato molti milanesi. Al "Ristorante Bellaria" il Giorgio (come lo chiamavano qui a Milano) aveva costruito un palco di legno rifornito di ogni strumento utile per suonare jazz. Ogni sera c'era un trio base composto da basso, batteria e pianoforte e chi voleva poteva liberamente aggiungersi.
Steve Lacy Foto tratta da www.capolinea.altervista.org |
Qui arrivavano gli artisti, stranieri e italiani che, terminata la serata, magari al Teatro Lirico, volevano finalmente dare sfogo all'improvvisazione...perché il jazz è proprio questo: talento e improvvisazione. Qui gli spettatori, che erano giunti numerosi fin da qualche mese dopo, grazie al passa parola, hanno avuto modo di ascoltare delle jam session storiche capaci di arrivare fino all'alba. Il pubblico era composto da veri amanti del jazz, che spesso non si decidevano ad andare via finché il sassofonista non riponeva lo strumento nella custodia. Qui si respirava un clima famigliare ed accogliente: il più acclamato musicista americano magari si ritrovava a dare una mano in cucina. La cantante di colore così ammirata in tutto il mondo andava in giro per il locale in ciabatte (magari chieste in prestito alla giovane Angelica) perché i tacchi a lungo andare "ammazzano le caviglie".
E poco importava del cibo. Il "Ristorante Bellaria" era ormai un lontano ricordo. Qui si ascoltava buona musica e magari si aveva modo di piluccare qualcosa, perché a una certa ora della notte la fame veniva. Solo dopo qualche anno la famiglia Vanni ha organizzato un vero e proprio ristorante al Capolinea. Ma la cucina era comunque semplice e casalinga (famosa era la pasta e fagioli della milanesissima signora Maria, moglie di Giorgio).
Da questo locale sono passati i grandi della musica, anche chi con il jazz non centrava niente...come Fabrizio De Andrè, che permetteva alla bottiglia d'alcool di adombrare la sua luce. Delicato il ricordo della signora Angelica del grande Pino Daniele, definito "un gran signore". Commovente il racconto di Chet Baker, amico di famiglia e definito "un vero musicista, perché Chet era LA musica".
Chet Baker Foto tratta da www.capolinea.altervista.org |
Ascolto con piacere l'elenco di nomi di musicisti a me sconosciuti e che mi aprono un mondo decisamente nuovo: James Cotton, Gerry Mulligan, i Vanadium...
Eppure tutto ha una fine e così la Milano nebbiosa che accoglie divinità del jazz disposte solo a divertirsi, lascia il posto a musicisti che parlano solo attraverso i propri manager.
Nel 1999 il Capolinea viene abbattuto e al suo posto viene costruito un condominio. Il vicino cabaret Ca' Bianca continua ad ospitare concerti jazz, ma è una musica diversa, più sofisticata e che sa poco... di pasta e fagioli!
La signora Angelica con Stefano Senardi, Shel Shapiro e Maurizio Vandelli |
Un pezzo della mia vita, indimenticabile il Giorgio, la sciura Maria,le bruschette che giravano tra tavoli e sedie sparse vicino al palco, i ragazzi che, visto un posto libero si lanciavano sul palco, con lo strumento che "casualmente" avevano con sè; chi c'era c'era,basta che si potesse suonare, e...qualcosa veniva fuori. Io non ricordo più con chi ho suonato su quel palco benedetto, magari raggiunto dopo una serata al "Santa Tecla" a rifare i Beatles!! Grazie Angelica per tener vivo il ricordo di quel posto irripetibile, di persone irripetibili, di un periodo quasi impossibile da descrivere a chi non l'ha vissuto.
RispondiEliminaGrazie per la tua testimonianza!
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